Ci sono tanti modi per mescolare elementi atmosferici ed orchestrali al death metal, davvero tanti e spesso ne vengono fuori cose pompose e appariscenti, il che non per forza implica una qualità scadente, anzi, talvolta sono belle proprio perché pompose e appariscenti. Non è questo il caso però, nulla in pieno stile Fleshgod Apocalypse insomma. Siamo di fronte a qualcosa, secondo me, di nettamente più interessante di un death metal brutale pieno di sinfonie e orchestrazioni in stile classico e io, da urbinate, non posso che essere felice di scrivere di questa band della vicina Pesaro, i Nightland.
Anzitutto quello che ci pare chiaro fin da subito è la delicatezza del sound. Per quanto sia tutto estremamente potente e aggressivo, c’è una pacatezza di fondo che fa apparire la proposta molto vellutata. Oltre questo troviamo una costruzione dei brani sofisticata, di classe, attenta a soddisfare i padiglioni più esigenti senza discostarsi troppo da strutture a cui siamo abituati, in sostanza la struttura è classica, ma arricchita di dettagli che vanno a creare brani semplici e complessi allo stesso tempo. La parte sinfonica di quello che suonano i Nightland (nome che mi chiedo se abbia a che fare con il bellissimo romanzo di William Hope Hodgson) in questo album non ha nulla a che fare con quello che si poteva sentire nel precedente Umbra Astra Luna, che era appunto molto riconducibile a quello spirito classico e quasi Wagneriano adottato da gente come Dimmu Borgir o Fleshgod Apocalypse, qui ci troviamo vicini a quel settore di musica classica che permea le colonne sonore cinematografiche, quindi sonorità decisamente più interessanti ed evocative… visive, direi quasi. Il disco nella sua interezza è un apice continuo, non ci sono momenti sotto tono, mai, il picco epico ed emotivo è sempre alto, va detto però che la suite finale in tre parti “The Great Nothing” è qualcosa di assolutamente magnifico, grandioso ed eroico allo stesso tempo; un susseguirsi di riff potenti e melodici, ritmiche cinetiche che si evolvono, archi ed ottoni che creano un muro sonoro sul retro di spessore incredibile e, in tutto questo, la voce che arriva dal cielo come un tuono non fa che dare il giusto tono a un lavoro che sa di pioggia di fuoco, invasioni di locuste e fiumi di sangue, il tutto ovviamente con celestiale immensità.
Una nota importante va alla cover art ad opera di Ludovico Cioffi, ricca di un carattere malinconico ma anche religiosamente positivo, potrebbe ricordare The Flesh Prevails dei Fallujah, ma nemmeno tanto. The Great Nothing è un disco per pochi, sono abbastanza sicuro che cose come queste trovano più detrattori che sostenitori, proprio per la loro natura teatrale e particolareggiata, ma chi avrà il buon gusto di dargli una possibilità, non potrà che goderne con ricca gioia. Fan di Xerath, Mechina e del Devin Townsend più “operatico” questo disco è per voi.
(Scarlet Records, 2021)
1. The Conjuntion of Benetnash
2. For Once My Name
3. Shade of a Lowering Star
4. Further
5. 101 Megaparsecs
6. The Great Nothing pt.1 Of Seeking and Straying
7. The Great Nothing pt.2 The Reliever
8. The Great Nothing pt.3 Pursuers of Absolution