Ci ho pensato a lungo, prima di accettare di parlare dei Jesus Lizard. Confrontarsi con una realtà di una portata storica come questa è un’impresa che necessita di particolare attenzione. Facile inciampare in stereotipi dati dall’importanza che la band texana – trasferitasi poi in Illinois – ha rivestito per un certo modo di fare, e approcciare la musica negli ultimi trent’anni. Da qualunque parte la si voglia guardare, la musica degli anni Novanta gira intorno a realtà come loro. Che li si ami o meno. Personalmente non li ho mai amati, la loro ascesa coincise con una fase per me alienante, in cui la musica per un lungo periodo di tempo subì l’idiosincrasia di un cervello – il mio – che aveva già iniziato a condizionarmi le giornate in negativo. Al netto di tutto questo, quello che conta davvero è che, quasi a sorpresa, dopo una lunghissima attesa – quasi ventisei anni – fatta di silenzio discografico, interrotto da tour che fecero comunque registrare il sold out praticamente dappertutto, The Jesus Lizard sono tornati con un album di inediti.
Capita che le lunghe attese rivelino poi di esser state vane. Ci sono decine di esempi che raccontano di album ”di rientro” assolutamente innocui per le nostre orecchie. Non è questo però il caso. Rack è un signor album, e va oltre le aspettative di chi – come me – pensava che quella dei The Jesus Lizard fosse un’esperienza oramai buona solo per la nostalgia. Il disco è infatti perfettamente a fuoco, in ogni suo singolo istante. Ruvido e duro come avremmo voluto, anche se meno isterico e dirompente di un tempo. Gli anni sono passati anche per loro, l’età media della band parla chiaro in questo senso. Quello che però, rispetto al passato, sembra non esser venuto meno, è il gusto per le composizioni e la cura degli arrangiamenti, che permettono a Rack di ben figurare in mezzo ad una miriade di altre offerte. Ascoltandolo viene da pensare che, realmente, la carta di identità non ha poi tutta questa importanza quando si guarda alla musica con spontaneità. L’album è quindi figlio della necessità di dimostrare di essere in grado di poter dire ancora qualcosa, e non un progetto esclusivamente mediatico – leggasi economico.
Quello che deve essere chiaro però, è che bisogna approcciare l’album senza farsi condizionare dalla storia. Fermiamo il tempo e concentriamoci esclusivamente sul disco. Al resto penseremo poi, in un secondo momento. A tratti si percepisce quasi un’incoscienza che si trasforma in entusiasmo, che ci spinge a non averne mai abbastanza. La dipendenza da Rack è un qualcosa di fisico, simile a quella da eroina. Resta solo da capire per quanto tempo potrà durare la nostra crisi da astinenza, tra un ascolto e un altro, e per quanto tempo ci resterà in circolo l’album una volta iniettato in vena. Per ora siamo con le spalle al muro, indifesi, ma felicemente costretti a subirne l’impeto e l’impatto. Ci sarà un tempo in cui lo guarderemo a distanza e solo allora capiremo.
(Ipecac Recordings, 2024)
1. Hide & Seek
2. Armistice Day
3. Grind
4. What If?
5. Lord Godiva
6. Alexis Feels Sick
7. Falling Down
8. Dunning Kruger
9. Moto(R)
10. Is That Your Hand?
11. Swan The Dog