Blues, black metal, sassi e insetti. Inutile dire che i Bachi Da Pietra siano una delle band della scena “alternativa” italiana che più ha fatto parlare di sé negli ultimi mesi. La loro ricetta ha fatto storcere il naso: troppo indie per i metallari, troppo metal per i fruitori di indie. Con l’uscita di Necroide infatti, Giovanni Succi (voce, chitarra) e Bruno Dorella (batteria) hanno preso il blues delle origini, filtrato attraverso il risveglio metal di Quintale, distorcendolo ed estremizzandolo fino a scolpire un suono definitivo e personale. In ogni caso i virtuosi che stanno nel mezzo, quelli che non amano etichettare e farsi etichettare, possono valutare la band in modo sereno, per quello che è: blues, black metal, sassi e insetti.
In un freddo week-end di fine anno il duo piemontese striscia in Sicilia per tre date, noi vi racconteremo quella di Catania.
BACHI DA PIETRA + ST. PANGOLIN
Barbara Disco Lab, Catania
19 / 12 / 2015
Arriviamo al locale presto, e sorbendoci il gelo esterno ci accorgiamo che non c’è un gran movimento di pubblico. Alle 23.00 salgono sul palco i St. Pangolin, trio catanese che apre la serata, e iniziano ad inondare la sala con il loro free noise privo di ogni melodia e di ogni ritmica, totalmente basato sull’improvvisazione. Premesso che chi scrive non ha i mezzi e gli ascolti necessari per esprimere un parere, credo che queste forme musicali concettualmente estreme possano essere definite solo tramite gli arzigogoli velleitari di chi ama mettere sempre una parola in più. Noi preferiamo essere concreti e ci limitiamo a dire che i paesaggi sonori messi su dalla band funzionano e non annoiano l’orecchio inesperto. In sede live è molto interessante capire il come oltre che il cosa: synth abbinati a strumenti non convenzionali (come un volante da console), chitarre preparate e percosse, giochi di effetti, sporadici interventi di un violino. Ma, per essere compreso appieno, tutto ciò andrebbe visto e vissuto in prima persona.
Quando arriva il momento dei Bachi Da Pietra il pubblico si è stabilizzato sulle poche decine di persone. Un vero peccato, perché il locale di dimensioni medie appare semivuoto, e per chi si sbatte sul palco non è piacevole. Probabilmente il duo piemontese non gode di una particolare fanbase in zona, ma ci sarebbe da dire che questo non giustifica cifre così ridotte. I Nostri, da musicisti navigati quali sono, ringraziano chi “ha vinto la battaglia contro il divano di casa” ed iniziano a macinare i timpani dei presenti con i loro cupi mid-tempo. Al primo live dei Bachi Da Pietra è lecito domandarsi se riusciranno, in due, a trasferire dal vivo il sound così heavy dei dischi: la risposta è evidentemente positiva. Impressionante, in questo senso, come Bruno Dorella riesca a pestare usando una batteria minimale (set composto da timpano, rullante, charleston, ride e bell), suonando lo stretto indispensabile e dando una lezione a parecchi funamboli dello strumento. Il resto è nelle mani di Giovanni Succi: presenza solenne, preferisce far parlare la propria musica e scambia solo un paio di battute con il pubblico. Da “Black Metal Il Mio Folk”, dichiarazione d’intenti posta in apertura, alla tribale “Voodoo Viking” passando per il funk malato di “Slayer And The Family Stone” è come l’incedere di un blob acido, distorsioni striscianti su cui Succi basa il concept lirico estremamente interessante della band. La scaletta si basa soprattutto sull’ultimo Necroide, suonato quasi per intero, dunque sul lato più grezzo del repertorio. Nel finale c’è spazio per alcuni “classici” come “Paolo Il Tarlo” e l’intensa “Dio Del Suolo” (da Quintale), e per il manifesto “Habemus Baco”. Purtroppo le voci risentono un po’ di un’acustica non ottimale e vengono soffocate dalla chitarra, impedendo un’adeguata comprensione globale. Al contrario, dal punto di vista scenico il locale sembra ideato appositamente per i Bachi, con il caratteristico fondale in pietra viva che regala una densa atmosfera, rovinata a tratti solo da fastidiosi intermezzi di musica dance, interferenze dalla festa di compleanno nella sala adiacente.
A concerto concluso è il momento di tirare le somme: c’è una sottile linea nera che lega il blues, il metal estremo e certo cantautorato fumoso, e i Bachi Da Pietra la percorrono attraverso ogni tappa. Ciò che può sembrare un’ardita sperimentazione è in realtà una riscoperta, un ritorno, dettato dalla voglia di maneggiare la materia oscura e subliminale ed esprimerla in tutte le sue forme. “Nessun face painting per rappresentare il male, siamo abbastanza orrendi al naturale”.