Dalila Kayros ci consegna il suo più recente rituale, ancora una volta con Subsound e ancora una volta con l’immancabile e insostituibile Danilo Casti, autentica e altrettanto fondamentale spina dorsale del progetto. E lo fa con il piglio del demonio che sale in superficie, dal profondo, travolgendoci, e annientando tutto ciò che trova sul suo percorso. Paragone sicuramente forte, ma tutt’altro che azzardato. Dalila è davvero un demone, basta vederla dal vivo per restare affascinati dal suo devastante sabba. In un coacervo (ragionato) di voci che spaziano tra il sardo, l’italiano, e lingue (crediamo) subsahariane, asiatiche e polinesiane, che si alternano sia all’interno del disco che dei singoli brani, il duo usa qualunque tipo di linguaggio sonoro a sua disposizione. Non ci sono dogmatismi, tutto è funzionale all’obiettivo. E se oggi troviamo l’elettronica sperimentale, nulla ci vieta, conoscendo Dalila, di pensare che un domani possa regalarci un album di musica etnica realizzato con soli strumenti sardi tradizionali. La resa, in termini di pathos, non cambierebbe. La simbiosi totale con la sua anima dannatamente pura resterebbe identica. Non serve far rumore per colpire duro. A volte il silenzio è un frastuono ancora più inquietante, e poi, come diceva qualcuno anni fa, “il silenzio è sexy”.
Khthonie racconta il nostro tempo. Un quotidiano fatto di follia contagiosa. Siamo alla fine di un ciclo vitale. Prima ce ne rendiamo conto e meno doloroso sarà il passaggio alla nuova fase, in cui la Madre Terra dovrà riprendere il suo ruolo centrale, e riscrivere l’intero paradigma terrestre. Come la figlia impura del mondo moderno, Dalila cavalca il caos, cantando il proprio distacco da ciò che rappresenta oggi la Terra, con una partenza sulla falsariga del precedente, ma che, ben presto, però, lascia spazio al deflagrare della follia della sua voce, e della sua forza dirompente. A violenza (subita) la Terra risponde con altrettanta violenza (necessaria). E lo fa proprio grazie a questa simbiosi totalizzante con Dalila. Concettualmente ispirato dal mito greco di Ctonie (il mondo sotterraneo che si unisce a Zas – il cielo – e diventa Gea, la terra emersa) l’album racconta di un mondo in cui (ancora) tutto è davvero possibile. Un mondo in cui l’uomo non è ancora arrivato col suo carico di distruzione. Un mondo senza confini, in cui si esaltano le differenze. Un mondo che rappresenta esattamente l’opposto di quello che accade oggi, in Italia, in Europa, ovunque.
Sarebbe troppo facile parlare di libertà. Facile, ma anche riduttivo. Se vogliamo davvero provare a rendere l’intensità del suo mondo (musicale e non) dobbiamo fare, noi per primi, un salto di qualità che possa permettere a chi non l’ha ancora ascoltata, di entrare in contatto con lei. Libertà intesa come assenza di regole, o come liberazione dalle regole? Questa è la domanda che mi sta facendo impazzire, e che, prossimamente, mi riservo di rivolgerle. Ma, questa è un’altra storia, di cui vi parleremo. Ogni cosa a suo tempo. Per oggi segnatevi a caratteri cubitali sul calendario il nome di Dalila Kayros, un domani, nemmeno troppo lontano ci ringrazierete. Ma fatelo adesso. Non esitate, ogni suo grido, ogni suo respiro, ogni suo sussulto è lava che tracima dalle casse dello stereo, travolgendo qualunque cosa incontri sul proprio percorso, portandoci a percepire il dolore, fino quasi a poterlo toccare.
(Subsound Records, 2025)
1. Nea
2. Sakramonade
3. Mitza
4. Leviatan
5. Lamia
5. Terranera
6. Susneula
7. Lugoi
8. Corpus Sonorum