James Kent e Johannes Persson: il primo conosciuto ai più come Perturbator, il secondo leader degli svedesi Cult of Luna. Kent è probabilmente tra i re della synthwave, e i suoi parti musicali sono figli dell’unione dei suoni sintetici degli anni Ottanta con elementi gothic, addirittura simil industrial, che ormai da qualche tempo hanno abbandonato le strade illuminate dai neon di Kavinsky per rifugiarsi in torbidi, sporchi e nascosti anfratti. Persson e la sua band invece non hanno bisogno di molte presentazioni, se non avete vissuto in qualche caverna li conoscerete per essere ormai sulle scene da diversi anni, tra i padroni indiscussi del post-metal. Un terzo elemento poi, il Festival Roadburn, che ha fatto conoscere artisticamente queste due entità e che ha fatto sorgere praticamente dal nulla, a pandemia sfogata, il progetto Final Light. Difficile capire cosa aspettarsi dall’omonimo debutto dei due, difficile immaginare se l’ago della bilancia possa pendere più da una parte piuttosto che da un’altra… In realtà il risultato finale manderà in brodo di giuggiole i fan di entrambe le entità musicali coinvolte, al punto da far credere che di fatto questo progetto sia sempre esistito, tale è il livello di naturale coesione raggiunto. E a conti fatti le atmosfere non sono così dissimili da quelle riscontrate nell’ultimo lavoro dei post-metaller svedesi, The Long Road North, introdotto dalla meravigliosa “Cold Burn” i cui riverberi apocalittici e maestosi sono ben riscontrabili anche nelle atmosfere che pervadono le sei tracce del presente disco.
Il singolo di debutto “In the Void” di fatto è assolutamente esplicativo di cosa aspettarsi dalle canzoni restanti: un’intelaiatura minacciosa, roboante, così baroccamente ottantiana nei suoni pompati e sontuosi, eppure assolutamente non ridondante. Sonorità come detto post-apocalittiche, debitrici dei film di fantascienza, di Carpenter, di Vangelis, di Blade Runner, dell’estetica cyberpunk. Scenari futuristici e distopici nei quali si abbatte senza sosta il ruggito del buon Johannes Persson, che non varia di una virgola (e per fortuna) il suo approccio vocale ergendosi sullo stesso piano della controparte strumentale. Abbiamo tra le mani quasi cinquanta minuti di musica pesante, asfissiante, tutto sommato una proposta abbastanza naturale per i fan dei CoL ma forse non così immediata per i seguaci di Perturbator. Ciò nonostante sarebbe un’imperdonabile bestemmia non dare almeno un ascolto a questo disco. Final Light, in antitesi al suo nome, è di fatto un buco nero che tutto inghiotte e disintegra, lasciando dietro di sé solo un vuoto plastico, un deserto fatto di scure e piangenti macerie. Oppure, se vogliamo, andando a riprendere Mariner (altra collaborazione parallela a firma CoL – Julie Christmas) rappresenta le profondità inesplorate degli abissi, dove nessuna luce filtra e dove la pressione è tale che nessun essere vivente può sperare di vivere per più di qualche attimo.
Insomma, mettetela come volete, ma Final Light è il buio che fagocita e che non restituisce più nulla indietro, ma che chiama magneticamente a sé come l’abisso più profondo.
(Red Creek, 2022)
1. Nothing Will Bear Your Name
2. In the Void
3. It Came with the Water
4. Final Light
5. The Fall of a Giant
6. Ruin to Decay8.0