“È violento e terribile. È schiacciante e allarmante. È comune e basilare. È catastrofico e scoraggiante“. Così Robin Wattie, chitarrista e cantante dei BIG|BRAVE ha descritto il loro ultimo album nature morte. Difficile darle torto. E non per il fatto che avendolo concepito lei, è quasi impossibile arrivare a descriverlo con parole migliori. Ma per il semplice fatto che basta realmente un solo ascolto, per rendersi conto di come sia stata capace di sintetizzare all’estremo la sua ultima creazione. L’album però non finisce qui. Fortunatamente. Racchiuderlo in queste poche parole significherebbe castrarlo, limitandone il potenziale, che è davvero tanto. Un’operazione di comodo, troppo semplice, che andrebbe a nascondere tutto quello che troviamo sottotraccia pronto a deflagrare, come in ogni loro lavoro, compreso l’atipico split coi The Body di cui abbiamo parlato proprio su queste pagine poco più di un anno fa.
I BIG|BRAVE riescono a regalarci l’ennesima prova di come siano capaci di flirtare con il rumore, offrendoci questa loro lunga litania di distruzione uditiva, oscura e drammaticamente dilatata, in cui si scontrano momenti di alterna intensità senza che il pathos cali anche per un solo istante. Incomprensibilmente non ancora chiamati a corte nell’élite dei gruppi “che contano” in ambito noise, i BIG|BRAVE continuano però a credere in loro stessi, procedendo fieri nell’unica direzione possibile. Quella che ce li mostra in continua crescita, indifferenti ai riconoscimenti altrui, ben consapevoli di quelle che sono le loro potenzialità, e altrettanto consapevoli di essere in grado di sfruttarle al meglio. Non a caso, album come questo loro nature morte sono qui per dimostrarlo, in modo chiaro e inequivocabile. La loro atipicità, all’interno di un settore che tende al rinnovamento, guardandolo come unico viatico per evolvere, li consacra come monoliti impossibili da scalfire fedeli ad una linea che li porta a elaborare un percorso di crescita costante, magari poco visibile in superficie, ma continuo. Anche perché l’evoluzione deve essere un processo naturale, che viene da dentro; altrimenti, se è di facciata, è un qualcosa di sterile che non porta da nessuna parte.
In soldoni nature morte è un ottimo disco sulla falsariga di quell’opprimente pesantezza a cui ci ha abituato il trio canadese, figlia di un’intransigenza rigorosamente ancorata a un sound granitico. Severo nel suo martellante incedere, per certi versi inarrestabile, l’album è totalmente privo di cedimenti (leggasi superficialità) e guarda unicamente a specchiarsi in quel cupo universo sonoro in cui è incastonato, consapevole di rappresentare la sublimazione del minimalismo sonoro applicato al caos. Reso ancor più prezioso da una gamma sonora di grande livello nature morte trasmette un’inquietudine anche nei momenti di calma apparente, aprendo una voragine che guarda, stando a quanto ha dichiarato la stessa Wattie, alla “follia della speranza e alle conseguenze del trauma, spesso incentrato sulla sottomissione della femminilità in tutte le sue molteplici declinazioni”.
(Thrill Jockey Records, 2023)
1. carvers, farriers and knaves
2. the one who bornes a weary load
3. my hope renders me a fool
4. the fable of subjugation
5. a parable of the trusting
6. the ten of swords