“Donne non si nasce, si diventa” (Le Deuxième sexe, Simone de Beauvoir 1949)
Partiamo da una considerazione preliminare, che considero imprescindibile. Internet, e in questo caso Facebook, sono posti in cui tendenzialmente viaggia una quantità di escrementi incredibilmente vasta, ai limiti dell’impensabile. Ci sono però delle (piacevoli) eccezioni, che, però, molto spesso, restano quasi invisibili, sommerse dal mare di merda di cui sopra. Occorre avere fortuna. Incocciarle per caso. Oppure, ma qui bisogna essere ancora più fortunati, dato che si tratta di un evento che ha molta meno occasionalità, ma che può anche ripetersi nel tempo, avere un qualcuno che te le consiglia. Io ci sono finito per caso, mentre cercavo non mi ricordo nemmeno più bene che cosa. E, come tutte le cose che nascono in modo inatteso, e non voluto, è stato amore a prima vista. Female Fronted Punk Bands è una “pagina” che consulto spesso, mosso dalla voglia di cibarmi di qualcosa di nuovo, di scoprire un nuovo sapore a cui dichiarare la mia dipendenza, di scaricare la tensione di chi, come molti di quelli che scrivono di musica, si ritrova, a volte, ad ascoltare i dischi con la missione (o meglio l’incombenza) di doverne poi parlare. Se scelgo di raccontarvela, è perché la considero (con tutti i limiti del caso, e contestualizzandola in un social network) un’espressione di libertà. Dinamica che, dati i tempi particolarmente cupi che stiamo attraversando, ha una sua valenza da non sottovalutare. Non è internet, né tantomeno sono, e saranno, i social network a cambiare questo stato di cose, ma, dato che viviamo in questa “epoca di pazzi e di idioti dell’orrore” come diceva il maestro catanese, è con loro che dobbiamo rapportarci.
Perché proprio Female Fronted Punk Bands e non un altro spazio?
Perché di Female Fronted Punk Bands mi piace soprattutto il fatto che non abbia grosse pretese, fatto salvo il tentativo di diffondere realtà che, altrimenti rischierebbero di restare quasi invisibili. Si tratta di uno spazio in cui si bada al sodo, in modo quasi essenziale. Una foto della band, un link a cui andare per ascoltare l’album, e basta. Niente cazzate. Niente promozione. Niente conflitti di interesse. Niente digressioni. Non ci si perde in discorsi. Azione diretta avremmo detto in altri tempi, oggi ormai sbiaditi. Tutto molto diretto, tutto realmente molto punk, grezzo quanto si vuole, sporco altrettanto, ma sostanzialmente, e fortunatamente, molto efficace. La visibilità non è quella della pagina che si autocelebra, ma quella delle realtà che promuove, in modo anarchicamente aperiodico, e, quindi ancora più apprezzato da chi, come me, individua nella ripetitività del tempo uno dei suoi più acerrimi nemici. In estrema sintesi divulgazione. Non c’è altro a cui badare.
C’è stato un momento in cui ho pensato di andare a cercare, mosso sempre da quell’estremismo isterico, e a tratti compulsivo, che mi porta a cercare di spingermi sempre oltre, se esistesse una pagina simile, ma che fosse orientata a segnalare solo “all female” bands. Poi, però, ripensandoci, ho lasciato perdere. Sono arrivato alla conclusione che questa sia la soluzione idealmente più contestuale. Collocare la donna al centro di un universo che, nella stragrande maggioranza dei casi, parla al maschile, è la scelta migliore che si possa fare. Guardare infatti a una situazione tutta, ed esclusivamente al femminile, rischia di spostare il punto di vista, ma non la sostanza delle cose, che è quella di ridare centralità a figure da troppo tempo emarginate.
Rivoluzionare significa infatti cambiare gli stereotipi, anzi annullarli del tutto, rimuoverli, e riscrivere le regole, non sostituirsi con un’altra “dittatura” a una già esistente. Emarginare l’uomo perché fino ad oggi è stata emarginata la donna. No, non funziona così. Almeno per me. Attenzione quindi a non capovolgere il paradigma, esercitando un dominio troppo nettamente esteso dal punto di vista femminile, mettendo cioè l’uomo volutamente in minoranza, collocandolo esattamente al posto della donna, in un angolo da cui non è in grado di uscire, sarebbe come diventare carnefici dopo esser stati vittime e non aver capito il senso e il peso della situazione.
Se, come è chiaro, e come abbiamo già detto, esiste un gap di genere in ambito musicale, le cose possono cambiare anche con iniziative come questa, che cercano di rendere comunemente diffuso un concetto che in altri tempi era visto come eccezione. E cioè l’idea che si guardi alle donne in ambito musicale “estremo” come a un qualcosa di assolutamente normale, e non come a un’eccezione, un evento raro, inusuale, bizzarro, che si approccia quindi con curiosità, ma come a un dato di fatto assodato, conforme, e non come a una creatura quasi circense, vista come una tantum. Andare oltre l’idea che mettere una donna al centro di tutto sia visto che una scorciatoia per arrivare prima a destinazione, approfittando (e intercettando) il voyeurismo di chi guarda alla musica con superficialità.
Ci sono ovviamente – restando in ambito strettamente musicale – band e band, non sono tutte eccelse, ma non è nemmeno questo il punto, non si tratta di fare una sorta di “best of” in stile calendario di playmate, ma proprio di dare quella visibilità (maggiore possibile) che in un mondo come quello della rete, oggi, negli anni duemila, manca completamente per un eccesso di offerta che rischia davvero di portare al ribasso la qualità delle proposte. Non siamo qui quindi per premiare quelle quelle migliori, né quelle che hanno la cantante più avvenente, questo è assolutamente fuori contesto, anzi è un insulto – non solo all’intelligenza – ma proprio all’idea che muove questo spazio, e che muove anche il mio pensiero, per quanto bislacco, a volte, possa sembrare.
Altra cosa gradita è che non si deve per forza seguire uno schema legato al tempo inteso come cronologia delle pubblicazioni, qui tè tutto libero, anche dall’assillo del tempo, fattore oltremodo sopravvalutato soprattutto in ambito “artistico”. Come non c’è – nonostante il titolo della pagina – una ristretta platea a cui pescare e rivolgersi. Lo spazio infatti ospita realtà punk ma anche hardcore, post punk, grunge, e tutto quello che volete. Perché qui il punk è prima ancora (e più) che un discorso musicale un approccio mentale, una “life style”. Per cui, l’importante non è tanto essere punk, ma “essere” qualcosa, esistere in un certo senso. Che sia postpunk grunge o hardcore non importa, conta, come detto l’essenza ancor prima e ancora meglio e ancor più che l’apparire, l’appartenere a un qualcosa di artefatto, conta il significato di quello che si vuole fare, il significato del percorso che vogliamo dare a quello che facciamo.
Non serve infatti (sempre parlando musicalmente) essere all’avanguardia, ma solo gridare forte la propria rabbia, in un contesto sociale che esclude e elimina, ghettizzando, e farlo grazie a una donna come a voler rimarcare ancora con maggior determinazione che siamo alle prese con un qualcosa di rottura che vogliamo rilanciare grazie alla figura meno fortunata dell’eden originario, quella a cui abbiamo addossato ogni tipo di colpa sin dai giorni delle “creazione” e della genesi.
Ci sono mille modi per rivendicare la figura della donna in ambito artistico e in questo caso musicale, un’iniziativa come questa aiuta a venire fuori dai luoghi comuni? Forse, di certo, piace e colpisce. Questo è quanto. Basta e avanza.