Confermando una tradizione metal rilevante e di ampio spettro come quella proveniente da Göteborg, i Walk Through Fire rappresentano sicuramente un’ulteriore testimonianza da inserire nell’albo delle eccellenze tanto della suddetta città, quanto dell’intero, prestigioso, panorama metal svedese, e lo dimostrano nuovamente con il full length Vår Avgrund (trad.: “Il nostro abisso”), uscito il 27 marzo del corrente anno tramite Wolves & Vibrancy Records e Bloated Veins, che hanno prodotto una pregevole edizione limitata in vinile.
Nei cinque anni trascorsi dal precedente, già notevolissimo, Hope is Misery (2014, Aesthetic Death), il silenzio discografico della formazione svedese è stato spezzato unicamente dal live album Performing the music of Arvo Pärt (2017), che immortala la band eseguire live, al festival Geiger X (tenutosi nel 2016 nella propria città d’origine), la reinterpretazione dei più significativi brani del compositore di musica classica contemporanea. Tale esposizione live è evidentemente scaturita da uno studio significativo, che qui vede consacrarsi definitivamente anche alla sperimentazione. Una testimonianza la si riscontra inequivocabilmente nel terzo brano di Vår Avgrund, ovvero “Vägar Mot Slutet” in cui il funeral doom/sludge metal minimale, tipicamente esposto dalla band sin dall’esordio discografico nel 2009, vede la compenetrazione stilistica del solo di sassofono di Malin Wättrings, che in tal contesto risulta essere inserito in maniera naturale e pertinente, come richiesta dal resto degli elementi in gioco. La collaborazione con la suddetta sassofonista è avvenuta per mezzo di una breve spiegazione da parte della band alla musicista, che ha registrato diverse take in mezzora nel suo home studio, fornendo adeguatamente un’espressione autentica, che ha realmente inteso la natura primordiale che sta alle fondamenta dell’espressione dei Walk Through Fire.
Vår Avgrund, primo album interamente in lingua svedese della band sui quattro della propria discografia, è dilatatissimo e per essere colto appieno richiede il suo tempo oltre che un livello d’attenzione sempre alto, che viene favorito da un songwriting interessante, nonostante gli ostinati, le ripetizioni e le dilatazioni tipiche del funeral doom. L’album fonda la sua ragion d’essere sul concept dell’inesorabilità della tragedia e della sofferenza, sia individuale che collettiva, e come esattamente dovrebbe essere vissuto l’ascolto di un concept album, i 74:57 minuti dell’abisso dei Walk Through Fire vogliono essere attraversati in un unico flusso, esposto in un unico discorso musicale costituito dai cinque brani/capitoli che scavano nell’io, in una meditativa e progressiva rivelazione che attraversa il dolore di una concretezza lacerante. La band espone un funeral di prim’ordine, presentato tramite maestose sezioni lisergiche, etichettabili nell’indicazione agogica del “larghissimo” (≤40 bpm), atte a distorcere la percezione temporale al fine di proiettare l’ascolto in un piano esistenziale più elevato rispetto alla comune concezione di realtà. L’esposizione musicale qui assume forme mutevoli, dimostrando una dinamica variopinta seppur legata all’ipnosi di un doom metal funereo e colmo di desolazione, realizzando sezioni minimali di chitarra clean e batteria ostinata, magari supportate da un organo liturgico (come nella prima sezione del brano “Ett Inre Krig”), che indirizzano ai Bell Witch e agli Assumption (sul fronte contemporaneo), mentre guardano comunque ai capisaldi del genere come gli Skepticism o gli Evoken, reinterpretando comunque tali stilemi in maniera brillantemente personale. Il funeral/sludge proposto dalla band comunque è di natura assolutamente contemporanea, come ad esempio dimostrano le vocals di altissimo livello comunicativo realizzate dal cantante/chitarrista Ufuk Demir, di fronte alle quali è quasi impossibile negare un grugno di compiacimento. I suddetti vocalizzi reindirizzano allo sludge per tipo di distorsione sulle false corde, e tale elemento, così come l’uso dei feedback come elemento strutturale o come il basso granitico di Andreas Olsson, che inventa un riffing ora punitivo, ora ampissimo fino alle soglie del drone, accostabile alla scenda d’oltreoceano dei Primitive Man o, più storicamente, degli Indian, che nel caso dei Walk Through Fire però assume una liricità marcatamente riconducibile al panorama europeo, risultando dunque in una caratterizzazione che mette di fronte ad una band che ha trovato da tempo la propria identità. A sostegno di una scelta artistica efficace, sia nell’inventiva compositiva che in quella sonica, vi è un comparto tecnico di altissimo livello, fondamentale per la buona riuscita di un’opera che si avvale così cospicuamente del contrasto minimalismo/massimalismo che permea per tutta la durata dell’album. Le qualità della band sono magnificate al massimo delle proprie potenzialità dal live studio tracking e dal mix di Henrik Magnusson tra Elementstudion e Kryptan, e dal master di Linus Andersson (nuovamente al Elementstudion), che convergono nella realizzazione di un prodotto impeccabile, che ha le qualità soniche dei massimi livelli.
Se dunque i Walk Through Fire hanno dimostrato la propria maturità artistica, nonché di peculiare identità, nelle precedenti quattro release, in Vår Avgrund la band svedese si rinnova aprendosi ulteriormente alla sperimentazione. Il binomio di oppressione/liberazione qui esposto è tanto ossimorico quanto efficace, dando all’astrazione dell’invenzione musicale la forma concreta di quanto di più opprimente e recondito si possa celare allo sguardo, ed assumendone la forma lo estirpa dall’interno, lasciando un vuoto tanto sofferto quanto immacolato. Più che il genere di riferimento dovremmo considerarne l’espressione, che è ai massimi livelli e trova un solido equilibrio tra melodia e dissonanza, compassione e furia, utopia e disillusione. Sempre di questa dualità si caratterizza un merito che deve essere sottolineato e che non bisogna dare per scontato: l’album possiede tutti i crismi del miglior doom metal contemporaneo ma, pur non rinunciando alla trance tipica del genere, riesce a tenere sempre alta la soglia d’attenzione dell’ascoltatore. Il discorso è unico, alle soglie della soundtrack, in cui vengono proposti costantemente elementi importanti e che vogliono essere ascoltati con l’attenzione che porta all’introiezione autentica, chiedendolo quasi con avidità, dunque sfamando in 75 minuti circa anche gli appetiti più gargantueschi.
(Wolves & Vibrancy Records, Bloated Veins, 2020)
1. Avgrund
2. Den Utan Botten
3. Vägar Mot Slutet
4. Till Intet Gjord
5. Ett Inre Krig
6. Att Leva Är Att Lida
7. Tragedin