Quattro pezzi, durata approssimativa di trentacinque minuti, copertina semplice ma dal gusto torvo e ansiogeno: il biglietto da visita dei marchigiani Katastah, band strumentale doom/sludge/stoner nata nel 2014 che ha trovato in pigri bmp fedeli compagni di avventure, ci trasporta in un mondo fatto di alberi e di fantasmi nel quale possiamo riversare tutte le nostre emozioni.
Il sipario si apre con “Arousal”: i suoi nove minuti ci fanno capire come i tre musicisti siano cresciuti a pane ed Electric Wizard, tenendo sempre a mente gli insegnamenti dei padri Black Sabbath. Il brano ha carattere e ci strappa un primo (fiducioso) sorriso, scaldandoci l’animo e facendosi ascoltare senza ostacoli. “Xylella” non si discosta molto da queste coordinate: le radici del brano si nutrono delle sensazioni più oscure e nascoste dei nostri direttori d’orchestra e attinge leggermente dal calderone dei giapponesi Corrupted.
L’irruento ingresso di “Mivar”, che ricalca le orme dei grandi Eyehategod, sfocia in un riff “sottratto” ai Down e ci porta sul palco un esempio di buona teatralità: dietro un brano che si dirama tra classica lentezza e piccole accelerazioni c’è una grande fiamma che arde e che simboleggia una grande voglia di mettersi in gioco e di fare sfogo alle proprie potenzialità. Il risultato è il miglior brano del lotto. La finale “Tardigrada” (il brano più breve del lavoro) conclude degnamente il viaggio.
La band funziona bene e sembra aver molto da dire (anche se, probabilmente, un’ugola arcigna migliorerebbe il tutto). Attendiamo il prossimo passo nella speranza di rivedere i Katastah ancora più pieni di inventiva e fantasia.
(Autoproduzione, 2016)
1. Arousal
2. Xylella
3. Mivar
4. Tardigrada
7.0