Clone Of The Universe è forse uno degli album più attesi di questo primo scorcio del 2018, ed è comprensibile, vista l’influenza che i Fu Manchu hanno avuto sin dal loro debutto No One Rides For Free nell’oramai lontano 1994 che li posiziona, e possiamo dirlo senza timori, tra i gruppi faro dello stoner rock alla stregua di Kyuss e Monter Magnet.
Diciamo subito che il leader e fondatore della band, oltre che cantante e chitarrista, Scott Hill non ha badato a sfumature quando ha presentato Clone Of The Universe come un’opera dal suono unico ed originale se non addirittura come il migliore album che i Fu Manchu abbiano mai fatto. Presunzione o semplice marketing ? A voi la risposta, ma per quel che ci riguarda il ritorno dei Manchu dopo quattro anni di assenza si manifesta con un prodotto politicamente corretto che ripropone con personalità i suoni che contraddistinguono da sempre il gruppo californiano, ma senza spingersi più di tanto verso nuovi orizzonti.
Quest’album, il secondo prodotto dalla label della band At The Dojo Records dopo Gigantoid del 2014, forse non passerà alla storia, ma rimane l’ennesimo tassello di un’avventura musicale che ha ancora molto da dire. Tra i titoli vi segnaliamo l’energica “Don’t Panic”, con una sequenza tambureggiante à la “Black Dog” dei Led Zeppelin, la lenta e straniante “Il Mostro Atomico” che evolve come un pezzo strumentale per ben nove minuti, e la graffiante e massiccia “Clone Of The Universe”.
(At The Dojo Records,2018)
1. Intelligent Worship
2. (I’ve Been) Hexed
3. Don’t Panic
4. Slower Than Light
5. Nowhere Left To Hide
6. Clone Of The Universe
7. Il Mostro Atomico