Ipotesi, tesi, sintesi. Si potrebbe riassumere così la parabola della trilogia De Doden Hebben Het Goed (traducibile, con qualche licenza, i morti se la cavano meglio) dei belgi Wiegedood, per chi – ancora – non li conoscesse sorta di supergruppo dell’underground fiammingo con componenti di Amenra, Oathbreaker e Rise And Fall.
Dopo un primo disco tutto dedito al black atmosferico, il terzetto belga aveva virato verso sonorità più rudi e “classicamente” black metal; il terzo capitolo risulta allora una sintesi dei primi due full-length, ed è davvero riuscita. I Wiegedood sono infatti riusciti a mettere insieme le strutture dilatate tipiche di un certo black atmosferico, con la brutalità del black scandinavo degli anni Novanta – roba tipo Dark Funeral o Gorgoroth – insieme, dato da non sottostimare, alla tipica urgenza comunicativa dell’hardcore e del crust, generi che fanno parte della cultura musicale dei tre componenti e che, in qualche modo, si sentono eccome. Il risultato finale è un disco memorabile, feroce e melodico, scuro come la pece, soffocante.
L’opener “Prowl” prende subito alla gola e non la molla più: nei suoi oltre sette minuti di durata c’è tutto quello che abbiamo imparato ad apprezzare dei Wiegedood, cioè la capacità di mescolare più registri stilistici – pur sempre nella medesima cornice – senza mai perdere un briciolo di intensità. Poche volte una band riesce infatti a tenere l’ascoltatore sempre sul filo del rasoio: il disco procede, e hai la certezza che stia per succedere qualcosa. La canzone si permette persino una finale “mistico”, una cantilena da rito nepalese che, non si sa per quale regola, funziona pure qui. La successiva “Doodskalm” è per chi scrive l’apice del disco, e uno dei pezzi black dell’anno, per come è capace di essere violento ed evocativo nello stesso tempo. Il brano si divide sostanzialmente in due parti, con i secondi quattro minuti davvero emozionanti. La title-track è invece ossessiva, claustrofobica, opportunamente posta in antitesi alla precedente, come sempre affidata a riff basilari ma azzeccatissimi, che girano su una batteria perfetta nella violenza e nei suoni. Si chiude con “Parool”, che tiene botta rispetto agli altri tre egregi pezzi e, nel suo finale brusco, lascia una voglia matta di riascoltare tutto da capo.
Dopo un secondo capitolo discreto ma non clamoroso, i Wiegedood tornano con un disco che fa cadere la mandibola e domandare da dove arriva l’ispirazione a questi tre musicisti, impegnati in band che hanno assunto ormai una statura notevole – soprattutto Amenra e Oathbreaker – e tuttavia capaci di confezionare tre-dischi-tre in altrettanti anni, tutti di qualità altissima (e mai uguali a se stessi). I belgi sono ormai una realtà consolidata del metal europeo, e il contratto con Century Media ne è solo una conferma. Speriamo che non abbiano crisi di crescita, ma quello che hanno seminato finora è comunque destinato a restare.
(Century Media, 2018)
1. Prowl
2. Doodskalm
3. De Doden Hebben Het Goed III
4. Parool