Non è inusuale affermare che quando si viene alla questione psichedelica, più precisamente heavy psych, la scena europea abbia diverse perle da sfoggiare e a quanto pare un epicentro notevole di questo panorama è il centro Europa, e come nel caso dei Domadora la Francia. Il trio parigino difatti è un ispirato sunto di questa scena e potrebbe essere un coerente punto d’inizio per l’ascoltatore che vuole approcciarsi a questi orizzonti fatti di psichedelia, intrecci strumentali che tessono allucinanti paesaggi sonori ed intenzioni 70s. Volendo analizzare il fenomeno 70s revival, dunque strettamente correlato al genere heavy psych, si può constatare nella riproposizione dell’epoca d’oro dello psychedelic rock un grande punto di forza nella proposta dei Domadora.
Potrebbe sembrare un ossimoro estrapolare un mood dalla propria epoca e riportarlo ai giorni nostri eppure questo frangente psichedelico, in tal modo, beneficia dell’ispirazione risalente al periodo storico di Jimi Hendrix e dei Pink Floyd potendo però esprimere quelle intenzioni sotto il punto di vista moderno e con i benefici tecnici che la nostra epoca ha da offrire. Non a caso una nota di merito va a Brice Chandler per recording e mix, nonché a Kent Stump, anche chitarrista dei Wo Fat, per il master effettuato al celebre Crystal Clear Sound Studios (TX). Sotto la supervisione di Brice i Domadora hanno deciso di rendere questo terzo full-length frutto di una forte esperienza umana, dettata anche dalla posizione geografica isolata dello studio, nelle campagne della Francia settentrionale, praticamente in un ritiro spirituale che ha fatto fluire la musica del trio senza impurità e con spontaneità, elementi che è possibile nitidamente riscontrare durante l’ascolto.
Lacuna è un album rilasciato indipendentemente il 29 giugno 2018, a seguito di due full-length di grande qualità e ben accolti dalla critica, di cui questa terza incarnazione della band prende in eredità ogni elemento prezioso lasciato dai predecessori, evolvendolo e sublimandolo ulteriormente nella dimensione di visioni ora psichedeliche ora turbinanti di energia che vengono proposte durante tutto il disco. Le tracce sono quattro, ma di notevole durata (6:02 minuti la più breve), minutaggio pienamente motivato, dovuto al carattere intrinseco dei brani, spiegato molto chiaramente sin da “Lacuna Jam”, che appunto come il nome suggerisce propone una struttura di carattere jam. Proprio nel flusso naturale di questo modus operandi la macchina dei Domadora dà il meglio di sé e ricorda altri capisaldi del genere come Driving Under the Influence of Jams (2017) degli Electric Octopus e le Summer Sessions (2008-2009) dei Causa Sui, con cui i Domadora condividono la stessa peculiare intenzione che contraddistingue l’heavy psych europeo. Come se non fosse già chiaro dalla prima traccia, nella seconda “Gengis Khan” il brano è sviluppato in un arco di tempo ancora più abbondante, dando spazio ad ogni elemento per creare minuziosamente la dimensione sonora proposta dal gruppo, con un ampio intro clean in fade-in, generosi riverberi e delay a cui provvede la chitarra di Belwil, che, multiforme, spazia da scenari ampi a sezioni di grande energia e riffing travolgente. A supporto di ogni espressione proposta vi è la batteria di Karim Bouazza, elemento di estremo pregio del disco, ricca, comunicativa, non solo egregie fondamenta ritmiche della band ma anche elemento di dialogo, mai banale, impeccabile e pertinente durante ogni sezione. “Vacuum Density” è il ponte che conduce verso la seconda metà del disco, con le sue melodie che rincarano ulteriormente la dose di psichedelia intensamente “trippy”, facente eco a quanto proposto dai maestri tedeschi del genere My Sleeping Karma, riportando anch’essi alla memoria grazie all’intro-tema sviluppato attorno al resto degli strumenti, riproposto, e portato all’esaltazione fino alla parte letteralmente “heavy” dell’heavy psych. “Tierra Last Homage” è il brano conclusivo del disco, che dopo aver deliziato l’ascoltatore con tre brani/jam di ineccepibile valore psichedelico propone una traccia che si apre con un riff largo e fuzzato all’estremo, ispirato dal tono leggendario del fuzz face di Jimi Hendrix. Ed in questo brano figura anche l’ennesima dimostrazione di grande capacità creativa, sia melodica che ritmica, del basso di Gui Omm, solido, portante e fondamentale, specialmente durante le acrobazie irruenti degli abbondanti soli di chitarra seguiti a ruota dalla batteria che non si fa pregare per esibire il meglio di sé. Collaborazione tra le righe ma fondamentale è quella con Angel Hidalgo Paterna, organo elettrico del disco. Unico accorgimento che lascia interdetti è un “hum” presente durante tutti i brani, che lascia il beneficio del dubbio, magari volendolo interpretare non come una svista ma come una scelta artistica tendente anche qui alla rievocazione fedele del sound 70s, nel bene e nel male. Qualunque sia il motivo esso è particolarmente notabile durante le parti dinamicamente meno intense e rimuoverlo avrebbe sicuramente fatto apprezzare maggiormente quest’ultime.
Lacuna è un flusso irruente di psichedelia che stupisce dall’inizio alla fine, da godere appieno facendosi trasportare senza remore in un epoca che appare lontana, eppure che grazie a questa scena viene riproposta brillantemente e che ancora oggi non si pone solo come influenza, ma vive di vita propria e, come in questo caso, regala dischi di estremo valore che fanno scoprire e riscoprire un modo di fare musica che ha segnato intere generazioni e che ha qualcosa di importante da dire ed insegnare anche oggi. Traccia preferita: “Vacuum Density”.
(Autoproduzione, 2018)
1. Lacuna Jam
2. Gengis Khan
3. Vacuum Density
4. Tierra Last Homage