Molti si ricorderanno la storia di due fratelli, uno in carne ed ossa l’altro in metallo e voce, in un universo steam punk alle prese con varie vicissitudini con al centro di tutto l’ossessione per la madre morta. Ebbene esce quest’anno sotto la giovane e promettente The Artisan Era il debutto della super-band Equipoise, totalmente incentrata sul mondo fantastico e drammatico di Full Metal Alchemist. Un po’ di storia prima di tutto: progetto partito per volere di Nick Padovani (Virulent Depravity) e Zach Hohn nel 2015 e che ha dato vita nel 2016 al primo EP Homunculi con già ospiti di eccezione come Hugo Karout (Beyond Creation e altri), Stevie Boiser (Inferi) e Jimmy Pitts (Eternity’s End). Il nuovo nato Demiurgus allarga la fila degli ospiti presenti sul disco elevando lo status del progetto a vera e propria super-band con Phil Tougas (Chthe’ilist, Serocs, First Fragment, …), Chason Westmoreland (ex The Faceless, ex Hate Eternal) e infine Sanjay Kumar (Wormhole).
Il risultato com’è facile prevedere data la provenienza dei nostri e l’elevata personalità musicale dei singoli è un amalgama dei vari progetti, dove ogni contributo arricchisce di particolari la già fitta architettura ad opera principalmente di Padovani. Volendo semplificare esageratamente ci si ritrova tra le mani una vera e propria summa del tech moderno e progressivo in voga oggigiorno in America e Canada, quindi un po’ Beyond Creation (basso su tutto, e che lo scriviamo a fare), First Fragment (i richiami neoclassici pendono fortemente verso di loro) e un po’ di sentore orchestrale e onanistico alla Inferi. Salta subito all’occhio quello che potenzialmente potrebbe essere un difetto del lotto, ovvero l’elevato numero di tracce – 14 – dato che la durata di per sé non risulta poi esageratamente ostica – siamo sull’ora scarsa – ma l’elevato alternarsi di brani alla lunga infatti tende a stancare l’orecchio. A parte questo difetto l’ultima pecca è la tendenza dei pezzi cantati ad risultare molto omogenei tra di loro. Ovviamente a scanso di equivoci stiamo parlando di un album ottimamente prodotto dove l’esecuzione è impeccabile e l’abilità di ogni singolo musicista è alle prove con probabilmente le singole performance più ostiche e difficili della loro carriera fino ad oggi, ma se i sei pezzi strumentali sparsi qua e là hanno invece personalità e fantasia più spiccata nei succitati pezzi cantati si nota facilmente una sorta di imprinting molto ripetitivo nelle strutture.
Critiche a parte si diceva già che il prodotto risulta impeccabile. Steve Boiser spicca per la performance vocale più ispirata mai eseguita dallo stesso – e chi scrive non è un fan incallito del suo timbro vocale – alternando come non mai profondi growl aperti e scream al vetriolo. Le ritmiche sono una più pressante dall’altra e la componente neo-classica del lotto contribuisce a soffocare ancora di più nella profusione senza fine di note, tempi e controtempi e sequenze velocissime da impressionare chiunque nell’ascolto. Karout dalla sua può sicuramente andare fiero di aver registrato uno degli album con più assoli di basso esistente nel genere (forse solo pochi nomi possono competere, e qui tocca smuovere i grandi DiGiorgio o LaPointe) e il volume dello strumento più alto nel missaggio finale di sempre, sicuro per l’appunto che nessuno avrà da lamentarsi che il 6 corde non si senta. Infine pure le influenze escono un po’ dal classico seminato del genere inserendo spesso influenze di flamenco che come già nei First Fragment donano un gusto esotico e di classe non da poco.
Alla summa dei pro e contro questo già tanto atteso – nei circoli di fans – Demiurgus può considerarsi un successo, sicuramente ostico per i motivi già detti ma non sufficienti ad inficiare pesantemente un lotto così ben confezionato. Comunque sia oggigiorno nel 2019 si sentiva un po’ la mancanza di fenomeni di spicco simili, un po’ (con ovvi limiti del paragone) come i primi Obscura, vera e propria super-band che col “primo” Cosmogenesis presentava una varietà stilistica invidiabile dovuta ai vari contributi e che col successivo Omnivium ha omogeneizzato e completato l’affinità dei singoli mostri che l’hanno suonato.
Ma questa piccola divagazione è storia per chiunque sia appassionato del genere e non serve andare oltre, solo ringraziamo gli Equipoise per aver riutilizzato una formula quasi perduta e che permette di tornare un po’ fanboys sfegatati.
(The Artisan Era, 2019)
1. Illborn Augury (instrumental)
2. Sovereign Sacrifices
3. Alchemic Web of Deceit
4. A Suit of My Flesh
5. Shrouded (instrumental)
6. Sigil Insidious
7. Reincarnated (instrumental)
8. Dualis Flamel
9. Eve of the Promised Day (instrumental)
10. Waking Divinity
11. Ecliptic (instrumental)
12. Squall of Souls
13. Cast Into Exile
14. Ouroboric (instrumental)