Da anni ormai non è più una sorpresa: immediatamente alle spalle dei classici centri di irraggiamento a stelle e strisce e scandinavi, l’area belga/olandese è praticamente una tappa obbligata per tutti i solcatori compulsivi delle rotte post-metal. Certo, poter annoverare una supernova del calibro degli Amenra (e dell’intero collettivo Church of Ra) rende subito riconoscibile il primo dei due elementi del binomio geografico, ma è bene non trascurare anche quello che succede a pochi chilometri di distanza, tra gli eredi di Guglielmo d’Orange. Senza ricorrere ad asettiche liste di nomi e moniker, ci limitiamo qui a ricordare il clamoroso debutto degli Izah o i gioiellini eretici rilasciati dagli An Evening with Knives, ma forse le frecce dal potenziale più esplosivo sono da un quinquennio nella faretra dei The Fifth Alliance.
Reduce da un esordio per la verità un po’ acerbo come Unrevealed Secrets of Ruin, in cui una troppo ostentata fedeltà agli stilemi core non aveva comunque impedito l’emergere di tutt’altro che trascurabili elementi di interesse, il quintetto olandese ha letteralmente spiccato il volo quattro anni fa con l’eccellente Death Poems, approdando su lidi decisamente più ambiziosi ma assolutamente nelle corde di una band impegnata a percorrere i sentieri più spigolosi e dissestati della poetica post senza rinunciare al contatto artistico con i dogmi delle scuole doom, sludge e black. Sempre capitanati dalla magnetica vocalist Silvia Berger, i ragazzi di Breda ritornano ora con questo The Depth of the Darkness e il terzo capitolo della carriera fa registrare un’ulteriore ascesa verso l’olimpo del genere, a questo punto davvero a portata di mano. La prima buona notizia, intanto, è che si confermano tutte le scelte operate nel predecessore, a cominciare dal ricorso a minutaggi sostenuti che preannunciano strutture articolate e in divenire per tutte le tracce, con la parallela rinuncia alla “lapidarietà” della tradizione core più debitrice delle origini punk che ancora innervava buona parte del debut, ma il vero asso nella manica degli olandesi è la disinvoltura con cui ormai maneggiano l’intera tavolozza dei metal generi più oscuri, sapientemente disposti a raggiera intorno a un tema portante che rimane di stretta filiazione Amenra. Come è logico attendersi, allora, campo aperto per una visionarietà allucinata e claustrofobica, ma a patto di tenersi pronti a improvvisi cambi di registro che immergono l’ascoltatore nei gorghi dei fanghi sludge, lo trascinano via di forza con convulse distorsioni black o, alternativamente, aprono parentesi in cui si inseriscono andature doom a volte cadenzate e a volte sbilanciate su un versante quasi lirico. Ad accompagnare, valorizzare ed esaltare l’andamento multidirezionale dell’ispirazione provvede la monumentale prova al microfono di lady Berger, perfettamente a suo agio (e lo sapevamo) con le spire più abrasive e laceranti di uno scream che immaginiamo non dispiacerà a sua maestà Colin H. van Eeckout come proprio alter ego declinato al femminile, ma del pari convincente anche nei passaggi in cui la vocalist si avventura nei panni della sacerdotessa impegnata a celebrare un rito sciamanico nei templi di quel doom “esoterico” che ha reso immortali i lavori di Jex Thoth, Sera Timms o di Rebecca Vernon, in casa Subrosa. Affidato al cantato il ruolo di macchina degli incubi, il resto della band non sbaglia un colpo sia che si tratti di intrecciare le seicorde della coppia Keuvelaar/Termote in chiave tellurica o atmosferica, sia quando le pelli di Ashwin Marapengopie si cimentano nelle ruvide cavalcate black, sia nei momenti in cui il basso di Ruud Verhoeven è chiamato a conferire una patina di solenne magniloquenza alle parti a più alto tasso doom, non di rado impreziosito da un retrogusto tribalistico/cerimoniale su cui si allunga, tutt’altro che freddamente clonata, l’ombra dei padri Neurosis.
Cinque tracce per poco più di quaranta minuti complessivi, The Depth of the Darkness si apre con lo sciabordio delle onde oscuramente malinconiche dell’opener “Black” e chi ha avuto la fortuna di incontrare Sera Timms in un brano come “Low Crimes” non mancherà di apprezzare subito sintonia e corrispondenza di intenti tra le due regine, ma, mentre sul lato americano dell’Atlantico il flusso narrativo rimane costantemente lirico, in Olanda l’armonia finisce presto per spezzarsi, lasciando il posto a un violento strappo black, prima che il finale rallenti di nuovo il ritmo in un clima di sospensione ma non più di abbandono. Lo schema si ripete, con esiti anche migliori, nella successiva “Hekate” (stavolta è Jessica Thoth, la pietra di paragone più prossima per l’avvio), da premiare per l’interminabile, sognante chiusura increspata da venature space, ma il vertice dell’intero lotto è probabilmente nei vapori sinistri sprigionati da “Hellfire Club”, sorta di preghiera/cantilena piombata a generare inquietudine da chissà quale dimensione ultraterrena. Detto di una “Into the Extinction” in cui post e black per una volta sembrano faticare a incontrarsi per dar vita a una miscela davvero coinvolgente, il saluto ai naviganti di “Aleister” è di quelli che lasciano il segno, combinando potenza, melodia e graffi vocali e dispensando così un effetto quasi cinematografico per cui non esitiamo senz’altro a scomodare la somma lezione Cult of Luna.
Album “anfibio” che galleggia minaccioso e accattivante all’incontro delle linee di confine tra generi che fanno dell’assenza di luce il proprio tratto qualificante e distintivo, The Depth of the Darkness è un passo avanti importante e decisivo in una carriera a questo punto già abbondantemente oltre la dimensione dell’apprendistato. Chiunque sia devotamente reduce da un pellegrinaggio nel post santuario di Kortrijk se lo annoti, il nome dei The Fifth Alliance e affronti una piccola deviazione in terra d’Olanda. Ne vale sicuramente la pena.
(Consouling Sound, 2019)
1. Black
2. Hekate
3. Hellfire Club
4. Into the Extinction
5. Aleister