ALESSANDRO ROMEO
La seguente classifica è in ordine rigorosamente cronologico, non mi azzardo a dare un ordine interno a questa cosa malsana. Non è una vera top 10, sono stato debole e non me la sono sentita di lasciar fuori alcuni dei seguenti lavori. Consideratela una serie di dischi consigliati a chi vuol capire da dove partire per esplorare musicalmente il decennio 2010-2019 secondo il sottoscritto. In dieci anni succede di tutto, e magari questo risulta particolarmente evidente anche da questa lista. Sarò breve, lo prometto.
Deftones – Koi No Yokan (2012)
Il disco della maturità artistica adulta di un gruppo che ha saputo reinventarsi e dimostrare di essere molto più di un residuato degli anni 90. Zero riempitivi e una resa sonora riconoscibilissima che ridà vigore a una scena in crisi da anni. E chissà, la eleva anche verso altre profondità.
Susanne Sundfør – The Silicone Veil (2012)
La voce più angelica e ipnotizzante della musica di questi anni. Se poi ci aggiungete un gusto musicale pop elettronico analogico di vaga ispirazione “bjorkeska”, degli arrangiamenti orchestrali musicalmente impressionanti e un pizzico di malinconia nordica che non guasta mai, capite perché non posso non consigliare questo disco a chiunque voglia approcciarsi alla musica. Se invece volete ascoltarne il lato più intimo, andate dalle parti di “Music for People in Trouble”: non vi può non spezzare il cuore. Ma monopolizzare la chart con solo Susanne mi sembrava troppo.
Om – Advaitic Songs (2012)
Un viaggio trascendente verso la sacralità e tutto ciò che riesce a andare oltre le paturnie della natura umana. Si parte dallo sludge e dal doom e si finisce negli ulivi del Getsemani. A tu per tu con l’archè, a lume di candela e immersi nell’incenso. Il disco perfetto per chi crede che la musica non sia solo intrattenimento, ma anche un mezzo per aprire porte che vanno oltre la nostra realtà sensoriale.
Russian Circles – Memorial (2013)
La resurrezione dei Russian Circles non ce l’aspettavamo più nel 2012, eppure anche loro hanno saputo dar qualcosa di nuovo e ispirato in questo decennio, con un lavoro che ha resistito benissimo alla prova del tempo, grazie soprattutto alla sapiente gestione delle atmosfere distorte ed eteree che in Memorial raggiunge il proprio apice. Ad memoriam.
Deafheaven – Sunbather (2013)
I Deafheaven forse rimangono uno dei gruppi più originali e intraprendenti della musica pesante di questi anni, fautori di una dissacrante – per i puristi – unione tra black metal, indie rock, hard rock e shoegaze. Se il mondo si divide tra chi li detesta e chi li apprezza, qua scegliamo decisamente di stare dalla loro parte. Luminosità oscura sparata in faccia con una sensibilità e cultura musicale di tutto rispetto.
Emptiness – Nothing but the Whole (2014)
Riscrivere il death metal nel decennio 2010 non è semplice e per farlo occorre riscoprire i labirinti mentali colmi di acque salmastre e antri cavernosi della psiche umana. Decadente e malvagio, gli Emptiness rinvigoriscono un genere che sembrava non aver più nulla da dire, rallentandolo e condendolo con industrial, kraut-rock, post-rock, shoegaze. Il risultato è magneticamente abissale, per uno dei lavori più originali degli ultimi anni.
Nero di Marte – Derivae (2014)
Una delle gemme nascoste di questi anni viene proprio dal bel paese, grazie a un quartetto bolognese che riesce a rendere poetica l’oscurità e il caos. Complice una resa sonora perfetta, le idee dei Nero di Marte giungono alla maturità consegnandoci un lavoro che colpisce e coinvolge principalmente per il gusto e la complessità delle stratificazioni sonore, oltre che per i testi teatralmente interpretati. Questo è la colonna sonora dell’apocalisse, sotto forma di rappresentazione scenica.
Swans – To Be Kind (2014)
Un gruppo che non ha bisogno di presentazioni, che ha fatto la storia della musica e che continua a farla anche nel nuovo millennio. Il nuovo corso della creatura mastodontica di Michael Gira, ripartito da The Seer, rappresenta quanto più si può avere dal rock alternativo di questo decennio e To Be Kind ne è la gemma ossessiva, distorta, liturgica e colma di groove primordiale. Stratificazioni monolitiche che sconquassano gli animi, per un’esperienza mistica al limite della catarsi.
Sun Kil Moon – Benji (2014)
Che Mark Kozelek sia uno storyteller fenomenale non lo scopriamo certo oggi: dotato di una sensibilità musicale da fuoriclasse, condisce ogni possibile ricordo biografico con una velatura di malinconia e rassegnazione che non scalfisce solo chi ha un cuore di pietra. Questo disco, assieme a quello di Sufjan Stevens, rappresenta la sintesi perfetta del cantautorato di questi anni.
Yob – Clearing the Path to Ascend (2014)
Difficile trovare di meglio nel panorama post-metal di questo decennio, vera summa di qualità poetica e maturazione musicale. Un disco che non può non fungere da faro per chiunque abbia intenzione di cimentarsi nel genere, discendendo nelle visceri della terra per purificarsi. Un disco per chi è stufo delle solide pallide copie dei Neurosis.
Solstafir – Otta (2014)
L’Islanda rende probabilmente le cose più semplici. Post-rock contaminato da hard rock, contemporaneamente delicatissimo e sgraziato, arrangiato con sensibilità e pathos. Personalità da vendere per il quartetto nordico che conferma quanto di buono intravisto nell’imponente Svartir Sandar di cui Otta è il degno successore e completamento artistico.
Sufjan Stevens – Carrie & Lowell (2015)
Questo è il disco che consacra quest’artista americano come il cantautore più talentuoso di questi anni. Ogni sezione delle canzoni che compongono Carrie & Lowell è perfetta e memorabile: la cadenza, i colori, la dinamica, l’intimismo e la sincera commozione scalfita da ogni nota. Uno dei dischi più empaticamente devastanti di questi anni.
Chelsea Wolfe – Abyss (2015)
Chelsea Wolfe è la vera regina del cantautorato dark di questi anni, l’unica a farlo con una certa perizia di particolari e un gusto musicale personalissimo. Abyss rappresenta la vetta di un’artista che ha accolto nel proprio personaggio un intero immaginario ideale decadente restituendolo modernizzato. Un disco complesso e strutturato, glacialmente profondo.
David Bowie – Blackstar (2016)
Non è solo un testamento di un artista immenso. Rappresenta anche l’ultimo slancio artistico di un personaggio a tutto tondo che muta nuovamente forma, coinvolge e non può lasciare indifferenti. La morte vista da chi rimarrà immortale, raccontata da un combo jazz-avantguarde e da una nana scura.
Algiers – The Underside of Power (2017)
Quando il gospel, l’industrial, il soul, il punk e la denuncia sociale si fondono in un unico gruppo proveniente da una Motown distopica. Commistione unica di idee e intenti, dotata del gusto innato di tutto ciò che rappresenta la musica nera americana e del rumorismo incontrollato di matrice più “Sonica”.
Anna von Hausswolff – Dead Magic (2018)
Ipnotica, ferale e ieratica, Anna von Hausswolff si consacra come una delle artiste più complete e talentuose del decennio. Un lavoro in cui i richiami sludge sfociano nell’esoterismo e nel culto dell’aldilà celato da ballad gotiche arrangiate in modo sapiente e con un talento oscuro che farà strada.
Daughters – You Won’t Get What You Want (2018)
Questo disco rappresenta nel modo più musicalmente perfetto possibile il disagio, il disturbo, la paranoia. Qui tutto ci colpisce come se fossimo nel pieno della pioggia di lame delle idi di Marzo: dai testi alienanti ai ritmi tribali primitivi, dalle tracce vocali teatralmente pregne di pathos alle sferzate chitarristiche disumanizzate.