A cinque anni dal precedente Lede gli Arkeldeel tornano sulla scena, presentandoci un full length di quattro tracce oscure e abrasive. In 37 minuti di aggressione sonora, Slonk ci porta con un’inarrestabile caduta libera in un labirinto via a via più gretto e asfittico, dove oscurità e incubo sono i regnanti di questo spazio onirico cosciente. Questo è uno di quei casi in cui ci troviamo di fronte ad un prodotto discografico che, oltre all’esperienza sonora, offre una vera e propria immersione in un mondo emotivo complesso, un viaggio mano nella mano con le nostre inquietudini più intime e profonde. Slonk si presenta con un linguaggio più ricercato e coeso rispetto ai lavori precedenti, mantenendo comunque le differenti influenze musicali che caratterizzano lo stile post-black del quartetto belga, ma facendo convergere le differenti espressioni stilistiche in una forma coerente. Inoltre, la struttura dei brani risulta veramente solida e convincente, nonostante la durata decisamente ampia. I quattro brani sono strettamente legati tra loro come un fluire caotico unitario; ogni brano sembra rappresentare un episodio particolare, in una progressiva regressione delirante verso l’oscurità.
Andiamo ora ad analizzare Slonk traccia per traccia. Il disco apre con un’introduzione delicatissima, in cui compaiono suoni rarefatti nei registri estremi, ma che lasciano presagire che non si tratta altro che di una calma apparente. Dopo due minuti, infatti, entra dirompente la sezione strumentale senza compromessi; ad una linea di batteria piuttosto scarna si vanno a sovrapporre un muro rumoristico di chitarre ultra distorte e una linea di basso che alterna lunghi droni a serpeggianti disegni melodici che danno un movimento onirico all’intera sezione. Su questa base si poggia la voce (che ci accompagnerà per tutta la durata del disco), straziante e disperata, che ci arriva con un timbro ovattato e distante, come provenire direttamente dalle viscere della terra. Dopo una prima parte più placida, inizia la vera e propria discesa agli inferi: la batteria apre ad un blast beat\tupa-tupa infernale su cui corrono serafici riff vicini al linguaggio black metal, concludendo in questo modo la prima lunghissima traccia intitolata “Vier”. La seconda traccia, “Eirde”, ci conferma che il nostro viaggio verso le viscere più estreme ha oltrepassato la via del non ritorno; per 5 lunghi minuti un riff compulsivo e lamentoso affoga in un blast beat feroce e inarrestabile. Dopo un breve respiro in un groviglio di larsen di chitarra inizia la terza traccia: “Zop” è forse la canzone in cui i differenti aspetti stilistici degli Arkeldeel trovano un punto d’incontro di massimo equilibrio, il riff di chitarra oscilla tra il thrash e il black metal, mentre la batteria al blast beat sostituisce un iconico tupa-tupa che ricorda quasi l’aggressività scanzonata del punk. Quando la musica ci lascia pensare che la traccia sia sul punto di finire si apre la sezione finale con un riff ritmico e compulsivo che ci da la sensazione di prendere a testate un muro di cemento fino a sfracellarci il cranio. La traccia conclusiva, “Trok”, ci lascia nel punto più basso del nostro incubo. Il riff è un susseguirsi lento e attonito di lunghissime note che formano disegni melodici inquietanti e macabri; la sensazione che ne scaturisce è quella di girare in cerchio, dispersi nelle nebbie di un incubo che stenta ad arrivare al capolinea.
Slonk merita davvero un ascolto (anche più di uno, ad essere sinceri), rigorosamente tutto d’un fiato e rigorosamente a volumi illegali, per il grande trasporto emotivo che ci regala. Forse un po’ sofferente per una produzione volutamente grezza (un po’ troppo?), rimane comunque un disco pregevolissimo, in cui le idee musicali risultano solide e ben strutturate senza mai un calo di tensione.
(Consouling Sounds, 2021)
1.Vier
2. Eirde
3. Zop
4. Trok