Cos’è il vero doom? Sicuramente ciò che i calabresi Bretus suonano! Nel marasma di band che nell’ ultimo decennio hanno iniziato a suonare doom metal e generi derivati – o affini – credo che solo una bassa percentuale abbia saputo mantenere o interpretare in maniera innovativa le coordinate lasciateci in dono da mostri sacri quali Black Sabbath, Witchfinder General, Trouble, Saint Vitus, Pentagram, Candlemass o Cathedral. I Nostri fanno parte di questa bassa percentuale e, album dopo album, hanno accresciuto la loro popolarità e credibilità come pochi, partendo da una terra, – fatemelo dire – la Calabria, nella quale non è per niente facile essere qualcuno nel metal, mantenendo una continuità davvero invidiabile per altro. Con questo nuovo Magharia i Bretus giungono, infatti, al quinto album dopo l’altrettanto ottimo Aion Tetra. Della pubblicazione in CD si è occupata l’americana The Swamp Records, in LP l’ orgoglio nostrano Overdrive Records ed in cassetta la cilena Burning Coffin Recs.
Disco dopo disco il sound dei Nostri si è ingrossato parecchio, partendo da un low-fi sabbathiano fino ad arrivare a Magharia con un bel suono a là Cathedral da The Carnival Bizarre in poi, un suono che enfatizza alla grande i classici riff ‘70s di cui Ghenes è il Magister Magicus Supremus, per dirla un po’ con lo spirito occulto di noi italici. Se c’è qualcuno che ha nelle corde quello spirito e quell’attitudine dell’ heavy rock ‘70s è proprio lui. L’ottimo gusto, in realtà, è caratteristica di tutti i membri: Zagarus, con la sua voce settantiana, partorisce ottime metriche ed i suoi ritornelli sono come moniti di un oracolo all’umanità; Janos, ultimo entrato nella band, scrive con umiltà efficaci linee di basso, classiche e melodiche, senza peccare di egocentrismo, mentre le parti di batteria di Striges hanno un groove invidiabile e le scelte stilistiche sono degne di un Bill Ward che in quanto a gusto batteristico ha decisamente fatto scuola. Non in molti, tuttavia, riescono a rimarcarne i sentieri.
L’intuizione del flauto sulla traccia d’apertura “Celebration of Gloom” – che rimanda a Forest of Equilibrium – è testimone di quanto i Bretus siano dentro quello che fanno, di quanta passione abbiano per questo genere (che poi definirlo tale è riduttivo!). La titletrack, tuttavia, è quella che più mostra, a parer mio, il grande bagaglio musicale dei Nostri: una traccia strumentale in stile Goblin che chiude con un’aura di mistero un disco che eleva ancor di più la qualità del Metal italiano.
(The Swamp Records, Overdrive Records, Burning Coffin Recs, 2021)
1. Celebration of Gloom
2. Cursed Island
3. Moonchild’s Scream
4. Necropass
5. Nuraghe
6. Headless Ghost
7. The Bridge of Damnation
8. Sinful Nun
9. Magharia