Eeli Helin è un polistrumentista finlandese che arriva a proporci il secondo album a distanza di soli cinque mesi dal suo debutto discografico, anch’esso uscito in CD per Trepanation Records, etichetta britannica dedita alle sonorità estreme sperimentali più oscure ed intransigenti. Dopo aver collaborato con svariati artisti anche da un punto di vista multimediale, Helin ha deciso in piena pandemia di dare un senso alla frustrazione legata all’isolamento cui siamo stati costretti. Ha fatto i conti con se stesso e con i suoi demoni e ha creato il suo progetto solista sulla falsa riga di una personalissima “via dolorosa”.
Rispetto all’esordio è andato perso l’ambient drone pesante che aveva caratterizzato le quattro lunghissime tracce di The Lurks, il doppio CD edito nello scorso giugno, in favore di una ricerca maggiore che possa portare ad esplorare territori meno convenzionali. Quello che si percepisce è una buona ricerca a livello di soluzioni sonore che però si deve purtroppo scontrare con una scelta dei suoni che penalizza la resa finale. Tutto ciò che di buono c’è (e non è poco se rapportato a chi cerca di percorrere le stesse strade) finisce per essere in parte vanificato da una piattezza di fondo che non permette di assaporare come sarebbe lecito e doveroso un album che fa proprio della ricerca il suo punto forte. Manca la consapevolezza di poter fare di più e meglio e non fermarsi all’apparenza. Con un suono decisamente più profondo staremmo parlando di tutt’altro album. Non mi sento di bocciare per questo l’intero lavoro di Eeli Helin ma di sottolineare come spesso la fretta possa essere il nemico principale di chi pensa di aver qualcosa da dire. La distanza temporale che separa l’album precedente da Vestibule è davvero troppo risicata. Non c’è stato a mio avviso il tempo per meditare meglio le scelte che potessero far decollare l’album. Il vero grande peccato è che si rischia di incanalare l’intero lavoro in quel calderone indistinto in cui tutti fanno più o meno le stesse identiche cose e si fatica a distinguere un progetto da un altro. Manca la personalità in altre parole. Ma non mancano assolutamente le idee, quelle ci sono ed è proprio da quelle che occorre ripartire per andare a colmare il gap che un disco frettoloso come questo ha inevitabilmente creato.
La solitudine della psiche del primo album ha portato alla voglia o meglio forse alla necessità di sperimentare nuove strade per liberarsi dalla clausura, per dare sfogo ai pensieri più nascosti e meno definiti, in modo da lasciarli fluire liberamente. E non mancano come detto elementi che ci portano in territori alieni, più a ridosso dell’industrial in senso stretto, ma che alla lunga non fanno che emergere quel senso di incompiutezza che ci fa pensare all’album come a tutto ciò che non è stato adeguatamente modellato prima di essere immesso in circolazione. La sensazione che se ne ricava, è per quello che mi riguarda, quella del “vorrei ma non posso”. Quella di chi ha individuato il proprio percorso e la destinazione da intraprendere ma ancora non ha ben chiaro come fare a raggiungerla. Un passo indietro rispetto al debutto? Non necessariamente. In un certo senso è un passo avanti, proprio per la voglia di andare “oltre”, per un altro verso però è indubbiamente una grossa occasione perduta e quindi forse sì possiamo davvero pensarlo come un passo indietro. Sarà il prossimo passo quello decisivo per Eeli Helin, quello che potrà sancire la sua definitiva consacrazione o chiudere in modo definitivo il suo percorso creativo. Alternative e vie di mezzo non ce ne sono.
(Trepanation Records, 2021)
1. Marble Palace
2. Teze Bazar
3. Murk Hunting
4. Teatro Tapia
5. Kavadi Attam
6. Feather Monsoon
7. The Village
8. Shelter at the Foot of a Volcano
6.5