Costantemente impegnato nella sperimentazione, a meno di un anno dall’ottimo URBEXXX-XI (2021, Dischi Devastanti Sulla Faccia) l’autore fiorentino Nàresh Ran ritorna a scolpire nuove architetture sonore attraverso un EP che ha come fulcro centrale l’idea della comunicazione tra il musicista e lo spazio che lo ospita, manipolando il suono attraverso pochi strumenti e senza l’utilizzo della post produzione.
Questo non è un disco, è un viaggio. Anzi, una visita. La tipologia di atmosfera che Nàresh riesce a restituire sonorizzando dei luoghi desolati va a colpire alcune delle emozioni più profonde dell’animo umano. I suoni grondano dai pavimenti, dagli alberi stessi e le mura non riescono a contenere le vibrazioni generate. Attraverso le sue quattro tracce, Gli Alberi Non Vogliono ci spinge fino alla sinestesia, restituendo ad ogni ascoltatore una storia ogni volta diversa e personalissima, come una pagina vuota al cui interno ognuno può scrivere, e descrivere. Per come la vedo io sarebbe inutile analizzare questo disco traccia per traccia, come faccio di solito. Il Ran con ogni brano ci apre la porta dei luoghi in cui gli alberi hanno preso possesso, riuscendo a scandire il tempo e a squarciare l’immobilità con le sue alchemiche macchinazioni che si fanno strada tra i rumori della natura. Ogni composizione è diversa dall’altra ma viene attraversata da un affascinante filo rosso, come se si trattasse dei singoli capitoli di un libro, che letti uno dietro l’altro ci danno la visione concreta dell’opera. Una menzione speciale però va a “Stalker”, che è sicuramente la traccia che mi ha affascinato di più. Ripeto, la forza di questo disco è appunto quella di poter essere letto in modo diverso da persona a persona. Personalmente trovo che possa competere con i brani dei più grandi della musica sperimentale, perché al suo interno la musica creata riesce a stabilire un contatto sincero, ed è in quel momento che si viene a creare un ulteriore dialogo che si consuma tra i luoghi abbandonati e l’ascoltatore, con l’artista nel ruolo del mediatore.
Artisticamente parlando stiamo assistendo a una vera e propria evoluzione nel concepimento della composizione da parte dell’autore. Sembra quasi che ci sia un capovolgimento dove le zone di confort risultano strette e il rischio invece uno stimolo costante, divenendo praticamente il fulcro della scultura sonora, a cui Nàresh riesce sempre ad affiancare a degli ottimi concept. Quello che ne esce fuori è un quadro al cui interno è palese riuscire a scorgere l’estremo amore dell’artista per la ricerca e per i suoni non convenzionali, che si capisce essere una necessità intellettiva e psicologica invece che un mero esercizio di stile. Mi piace pensare questo lavoro abbia allargato lo spazio entro cui ci muoviamo, aggiungendo un luogo in più al cui interno poterci riposare e meditare quando lo spazio del mondo ci risulta troppo stretto.
(Dio Drone, Sounds Agains Humanity, 2021)
1. //// Quarta Zona ////////////////
2. //// Stalker ///////////////////////
3. //// La Via Di Shimokage ////
4. //// Il Vampiro //////////////////