I BIG|BRAVE riescono ancora a stupire. Nonostante siano arrivati all’ottavo album, danno l’idea di essere all’interno di un percorso di crescita che ancora non ha mostrato per intero tutte le loro potenzialità: A Chaos Of Flowers ne è l’ennesima dimostrazione. Questo loro ultimo lavoro riesce infatti a collocarsi in perfetta antitesi con il precedente Nature Morte, a cui resta legato solo per i fiori in copertina. Per il resto l’album dimostra da subito la sua voglia di distaccarsi dalle declinazioni più rumorose del passato, grazie ad un approccio teso ad esaltare la bellezza, forse mai così ricco di silenzi, forse mai così in grado di evocare lo splendore senza alcun calo di tensione. Un album dal forte accenno goth-blues, tagliente e doloroso come solo il blues maledetto riesce ad essere. Un blues disarmante e doloroso che fa male all’anima e va a braccetto con sogni infranti in bianco e nero e lacrime malcelate dietro il fumo di sigarette solitarie.
A Chaos Of Flowers è quindi da considerarsi come un lavoro estremamente incisivo che, grazie ad una costruzione stratificata, mostra grande maturità compositiva. Un album che, se, come detto in apertura, cerca di divincolarsi dagli schemi del passato, riesce però a conservare quel caratteristico minimalismo proprio della band, teso a valorizzare ogni dettaglio, grazie alla scelta di liberarsi da tutto quello che non ritiene necessariamente utile al disegno di insieme. Un album che emoziona nel suo grido di dolore, desolato e distruttivo, fatto di canzoni che per una volta fluttuano libere anziché opprimerci con un muro di suono. A Chaos Of Flowers è un rifugio momentaneo per tutti coloro che cercano un sottofondo alle proprie emozioni. Un rifugio intimista, intenso e profondamente radicato nell’anima, caldo, commovente ma anche, nonostante tutto, carico di passione e impeto.
Concettualmente A Chaos Of Flowers è interpretabile come un grido che cerca di connettere il naturalismo, la sanità mentale e la necessità di cercare la propria sopravvivenza, in un contesto attuale ricco di sfumature e distanze. La maggior parte dei brani trae infatti ispirazione da poetesse che abbracciano differenti culture, epoche e provenienze, come l’icona statunitense Emily Dickinson, la francese Renée Vivien, la giapponese Yosano Akiko e la Mohawk Pauline “Tekahionwake” Johnson. Tutte figure accomunate dal tentativo di ricontestualizzare oggi l’antica saggezza. Tutte figure che partendo dalla loro orgogliosa identità culturale hanno combattuto, sulla loro pelle l’emarginazione sociale. Un disco folk estremamente oscuro, maledettamente oscuro. Ma necessario.
(Thrill Jockey Records, 2024)
1. i felt a funeral
2. not speaking of the ways
3. chanson pour mon ombre
4. canon : in canon
5. a song for Marie part iii
6. theft
7. quotidian : solemnity
8. moonset