Dalle fredde lande della Norvegia arrivano gli Helvitnir. La band è all’attivo dal 2023, ha prodotto un EP nel 2024 (Helborn), e adesso pubblica il suo primo album, intitolato Wolves of the Underworld (titolo non proprio originalissimo eh?). Tra le fila dei Nostri troviamo un batterista d’eccezione, vale a dire il sempre attivo Jan Axel Blomberg, meglio conosciuto come Hellhammer. Non sono mai stato un suo fan, soprattutto per l’attitudine da rockstar che non si incastra bene con quello che dovrebbe essere il black metal, e anche a causa di certe dichiarazioni del passato. Ma bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare, e come batterista e musicista non credo lo si possa certo criticare. Non tutti i gruppi si possono vantare di avere tra le loro fila un nome che, nel bene o nel male, è un esponente e portabandiera del genere che rappresentano, e che ha in qualche modo aiutato a creare e plasmare l’intera scena. Ma a parte il buon Hellhammer, che di certo non ha bisogno di presentazioni, anche tutti gli altri membri degli Helvitnir sono dei veterani della scena black, il che rende la band quasi un all-star team, e questo si sente sia a livello compositivo che di scrittura dei brani.
Come da copione, i Nostri suonano un classicissimo black metal, a cavallo tra Marduk e Dark Funeral e con certi riff rubati agli Slayer, ma con quel pizzico di armonia e stravaganza in più che aiuta a rendere l’album più interessante. Wolves of the Underworld è prodotto egregiamente, con suoni puliti e potenti, e con tutti gli strumenti mixati alla perfezione. Forse la produzione è pure un po’ troppo cristallina, dato che comunque stiamo pur sempre parlando di black metal, ma su sta cosa mi sento di chiudere un occhio. Come ci si può aspettare, il disco è un attacco frontale dall’inizio alla fine, tipo Panzer Division Marduk, ma con qualche sorpresa in più. Ad esempio, ho trovato molto interessanti le parti più melodiche cantate senza screaming nella iniziale “Throes of Transformation”, o le incredibili accelerate in “Black Flame Triad” (classica mazzata che non fa prigionieri e che dal vivo potrebbe mietere molte vittime), oppure gli inaspettati e limitati inserti di tastiera in “Odinsbane”. “Void of Emptiness” è forse la mia preferita dell’intero album, con parti super veloci e schiaffi volanti ad ogni cambio di tempo ed un drumming eccezionale. Il disco scorre che è un piacere dalla prima all’ultima canzone, non c’è mai un rallentamento o un calo di (pre)potenza, e si arriva stanchi ma soddisfatti ad un’epico finale con la bellissima “Draugr”.
In conclusione, ottima prima prova per gli Helvitnir, che con Wolves of the Underworld ci consegnano un solidissimo album black metal dove si può toccare con mano tutta la preparazione ed esperienza di ogni singolo componente della band. Disco consigliato agli estimatori del genere, ma che saprà anche fare breccia in chi non mastica black metal quotidianamente.
(Dusktone, 2025)
1. Throes of Transformation
2. Black Flame Triad
3. Helvitnir
4. Void of Emptiness
5. Imagery of Deceit
6. Odinsbane
7. Dread Biter
8. Helheim’s Throne
9. Draugr