Nonostante gli sforzi per provare a restare immuni ai condizionamenti esterni, che quasi quotidianamente ci piovono addosso, siamo qui, ancora una volta, a cercare di mettere nero su bianco il nostro sdegno e la nostra insofferenza per tutta la sequela di fastidioso imbarazzo, che, giorno dopo giorno, puntualmente ci si ripresenta. È inevitabile che le situazioni che ci riguardano più da vicino finiscano per condizionare il nostro umore, rendendo vani i tentativi di restarne se non lontani, almeno quanto più distanti possibile. E’ altrettanto inevitabile finire per usare “Il canto del cigno” per considerazioni personali, che, indipendentemente dall’interesse altrui, riteniamo doverose di “condivisione”, anche solo per una sorta di sfogo interiore.
Oggi pero, affrontiamo un argomento di grande rilevanza. Oltretutto, il mio ruolo in ambito sanitario mi impone la massima serietà in materia, per cui non perdo altro tempo. La situazione è preoccupante.
La “sindrome dell’artista incompreso” continua a dilagare, inarrestabile. Mietendo vittime ad ogni latitudine, senza che si riesca ad arginarla.
Decine di “artisti incompresi” si alienano dalla realtà, trascinati da un ego ipertrofico che li spinge a produrre in modo compulsivo album di cui non si sente affatto il bisogno. Album sulla cui qualità non si può dissentire. Del resto gli “artisti” sono loro, noi siamo semplicemente i fortunati destinatari della première, e non possiamo permetterci di discostarci dalle loro convinzioni. Questa loro alienazione comporta l’estrema difficoltà nell’elaborazione di una dinamica che esca dai canoni del loro pensiero monocorde, con la conseguenza che un rifiuto (indipendentemente che si tratti di un parere o di un’opinione) viene trasformato in un fatto personale, in una faida, intimamente connessa alla figura di chi ha osato dissentire. Spesso individuato, agli occhi dell’artista come un “qualcuno che non ce l’ha fatta”, un invidioso, un rancoroso.
Detto del quadro attuale, passiamo ad analizzare il fenomeno nel dettaglio, in modo da chiarire la situazione a chi ancora non fosse al corrente della drammaticità della situazione.
Sintomatologicamente parlando i primi segni da non sottovalutare sono senza dubbio l’iperproduttività schizofrenica e l’incapacità razionale ad accettare un rifiuto. Entrambi, unitamente all’impersonificazione bipolaristica, che porta il soggetto a ergersi a ruolo di “genio” non riconosciuto come tale, sono la base per una precoce diagnosi.
Spostando tutto sul piano pratico, per poter meglio illustrare il problema, ampliando la platea degli uditori, possiamo dire che quanto descritto nella sintomatologia di cui sopra è ciò che mi accade settimanalmente, allorché mi vedo costretto ad interagire (fortunatamente solo virtualmente) con persone a cui non posso permettermi di dire quello che penso delle loro proposte musicali. Pena l’immediata “lesa maestà” a cui inevitabilmente vado incontro, che, oltre al distacco emotivo, comporta anche tutta una serie di pene accessorie che sostituiscono quella di morte, qualora non venga ritenuta applicabile. Pene che colpiscono non solo me, ma anche tutte le generazioni future, e che prevedono la confisca dei beni, oltre ad ammende pecuniarie salatissime. Mai quindi contraddire un “artista” che si abbassa a proporre il proprio lavoro in cerca di un riscontro. Gli “artisti” sono come gli eroi, son tutti giovani e belli. E quindi, come tali, vincenti in partenza. Oltre che detentori della verità assoluta.
Potremmo qui aprire una parentesi, e provare a capire che cosa spinga le persone a chiedere un parere, se poi non sono in grado di accettare una risposta che differisca da quella che è la loro radicata convinzione in merito. Ma, dal momento che ancora non sono riuscito a darmi una risposta in questo senso, penso che sia il caso di passare oltre. Torneremo magari sull’argomento in futuro, dato che lo riteniamo meritevole di ulteriori approfondimenti.
Detto che, ad oggi, non sono ancora stati fatti passi avanti nella ricerca, sia di una cura dei sintomi, che di un vaccino che possa prevenire l’insorgere della malattia conclamata, l’unica strada che abbiamo è quella della diagnosi precoce, ragion per cui proseguiamo nella descrizione della sintomatologia, in modo da aiutare tutti coloro che si dovessero trovare ad avere a che fare con soggetti che mostrano queste devianze.
Anamnesticamente non sono ad oggi emerse predisposizioni genetiche che possano far pensare ad una trasmissione intrauterina madre-figlio (trasmissione congenita), durante il travaglio del parto (trasmissione perinatale) o durante l’allattamento (trasmissione postnatale). La maggior parte dei casi si pensa quindi possa avvenire a livello ereditario. Ma anche qui, vista la scarsa propensione ad accettare lo status di malati, gli “artisti” si sottopongono malvolentieri alle indagini diagnostiche, rendendo vani gli studi dei ricercatori.
Al netto quindi, di una casistica che riporta come l’incidenza ambientale sia tra le concause più frequenti, possiamo essere portati a pensare che la Sindrome dell’Artista Incompreso (SAI) sia a tutti gli effetti una malattia poligenica, in cui la vulnerabilità del fattore genetico NOTCH4 e di quello DTNBP1 rivestono un ruolo fondamentale. Per cui, se “l’artista” permaloso non è imputabile, a causa di questa sua predisposizione mentale, il rifiuto delle delusioni non può e non deve essere visto come un elemento dirimente in fase di ricerca. La familiarità è a questo punto un fattore importantissimo di cui tener conto laddove si cerca di standardizzare le reazioni di tutti coloro che manifestano l’incapacità di gestire il DDI (Disagio da Delusione Inaspettata).
Analizzando i casi che abbiamo toccato con mano, la sintomatologia che più di frequente ci è capitato di riscontrare prevede la concomitanza di almeno due dei tre seguenti segnali di squilibrio: deliri di tipo persecutorio, megalomanico o bizzarro, disturbi formali del pensiero, che alterano la successione logica delle idee, e comportamento disorganizzato o catatonico. Mentre è tutta da verificare l’incidenza di segnali quali isolamento, ansia generalizzata e disturbi del sonno, che, pur se presenti nelle fasi avanzate della malattia, sono da ricondurre alle manifestazioni di una tarda adolescenza che fatica a evolvere in maturità, più che a reali segnali di allarme.
Passando alla diagnosi precoce, unico vero strumento ad oggi in nostro possesso, segnaliamo come l’immediato accesso alle cure risulti anche in questo caso il viatico migliore per garantire una prognosi accettabile, anche se, occorre ricordare come si tratti di situazioni piuttosto rare proprio perché si tratta di manifestazioni prodromiche decisamente aspecifiche.
Al netto di tutto questo potremmo poi chiederci, e discutere a lungo, su che cosa significhi essere (o ancor peggio autoelevarsi al ruolo di) “artisti”, ma non vogliamo entrare nel merito, rimandando ad una prossima analisi l’argomento. Oggi ci preme soltanto provare a capire che cosa muova queste persone. Come sia in altre parole possibile che non siano in grado di razionalizzare come sia del tutto assurdo produrre musica a ritmo costante, ma soprattutto come sia possibile pensare che ogni cosa possa essere meritevole di stampa. Basterebbe “soltanto” riporre le nostre (s)manie di grandezza, ridimensionando l’importanza che pensiamo di avere in ambito “artistico”. Guardare le cose alla giusta distanza, in modo da capire che quello che abbiamo realizzato, e che vediamo come grandioso, è in realtà un qualcosa che su cui non possiamo avere un’idea razionale, proprio perché da noi stessi partorito. Provate a chiedere ad una madre che ha appena messo al mondo un figlio che cosa pensa del suo bambino, e capirete di che cosa stiamo parlando.