Nonostante frequenti cambi di lineup ed incuranti dei tempi sempre più duri per la musica, gli Every Time I Die sin dal lontano 1998 non hanno mai perso la fiducia nella loro musica. Definiti spesso come band metalcore, il quintetto americano ha saputo sempre rinnovarsi senza mai dimenticare le proprie origini, scrollandosi di dosso, con il passare degli anni, quell’etichetta appioppatagli in anni molto diversi da quelli in cui ci troviamo oggi. Il nuovo disco, Low Teens, offre all’ascoltatore diversi spunti di interesse, variegando la proposta e risultando sempre fresco e mai banale o troppo statico.
L’album in questione fa perno innanzitutto su sonorità hardcore metallizzato (alla maniera dei Disfear), grazie alle consuete bordate ritmiche tutte muscoli e niente cervello, abbinate a chitarre oscurate dalla presenza dell’immortale Lemmy Kilmister. Pezzi come “Glitches”, “I Didn’t Want To Join Your Stupid Cult Anyway”, “1977” e “The Coin Has A Say” sono un chiaro esempio di come il gruppo abbia fatto tesoro degli insegnamenti dei grandi del genere per riproporli poi in veste personale, infarcendo il tutto con testi di tutto rispetto (intelligenti, ironici a volte, ma anche neri, con punte di cinismo). Ma ovviamente non si parla solo di violenza ignorante. Al gruppo piacciono le sfide e quindi ecco comparire brani come “Two Summers”, che sembra quasi un pezzo rock’n’roll incrociato con lo stoner, una delle poche concessioni “vivaci” dell’album, dove ad atmosfere allegre si aggiunge anche uno stacco acido e grezzo nel finale.
La lista si arricchisce con pezzi più dinamici: l’opener “Fear and Trembling” con il suo traboccare di tecnica, tra cambi di tempo e sfuriate violente, insieme a “Petal”, altro pezzo in cui la sezione ritmica precipita in un vortice di follia e male interiore, forma una doppietta math-core di grande impatto. “Awful Lot”, “Religion Of Speed”, “Just As Real But Not As Brightly Lit” suonano invece prettamente metalcore, in quanto melodia e cattiveria sono ben amalgamate ma durano il tempo essenziale, arrivando diretti al punto senza risultare tedianti.
Potrebbe anche essere sufficiente, ma i ragazzi aggiungono alla loro proposta atmosfere grigie e malinconiche, offrendo momenti quasi alternative metal (“It Remembers”), stranezze assortite con ossature strumentali instabili (“Map Change”), o ancora brani con maggiori parti cantate in pulito (“C++ (Love Will Get You Killed)”), nei quali compare comunque un riffing trascinante ed i sempre ottimi assoli.
Low Teens è un disco maturo, completo e di assoluto valore, che ha molto da offrire ed invoglia al riascolto. Sicuramente ci si trova al cospetto di una delle band migliori del genere, che sembra non avere la minima intenzione di mollare la presa, ma anzi di continuare a sorprendere.
(Epitaph Records, 2016)
1. Fear and Trembling
2. Glitches
3. C++ (Love Will Get You Killed)
4. Two Summers
5. Awful Lot
6. I Didn’t Want to Join Your Stupid Cult Anyway
7. It Remembers
8. Petal
9. The Coin Has a Say
10. Religion of Speed
11. Just as Real but Not As Brightly Lit
12. 1977
13. Map Change
14. Skin Without Bones
15. Nothing Visible; Ocean Empty