In occasione del tour italiano che li vedrà impegnati, per un totale di cinque appuntamenti, a presentare il loro ultimo album False Highs, True Lows (qui trovate la nostra recensione), abbiamo intervistato i francesi Plebeian Grandstand. Loro sono eccitati e carichissimi. Noi gli abbiamo fatto qualche domanda.
Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di Grind on the Road. Avete annunciato un tour italiano durante il quale continuerete a promuovere il vostro ultimo False Highs, True Lows. Dato che le recensioni, anche in Italia, pare siano andate benissimo, con che aspettative affronterete queste date?
Ivo (batteria): Ciao e grazie per quest’intervista. Il promoter di questo tour ci ha detto che c’è un’insistente domanda per la nostra presenza qui, quindi mi aspetto un bel pubblico e dei bei locali. Oh, e del buon cibo italiano, inshallah.
Simon (chitarra): Siamo veramente eccitati all’idea di suonare in Italia, anche io mi aspetto dei grandi show e dell’ottima pizza.
Un piccolo passo indietro, con una domanda leggermente fuori tempo massimo. Perché per i Plebeian Grandstand gli alti sono falsi e i bassi sono veri?
Ivo: Tutto nei PG, dalla musica ai testi passando per visual e titoli, è lasciato alla libera interpretazione dell’ascoltatore, un po’ come un test di Rorschach. Dunque, quello che pensiamo noi non conta.
La vostra proposta musicale è complessa, tanto nella contaminazione onnivora di linguaggi musicali (black, hardcore, sludge, noise) quanto nella pluralità di impressioni che lascia in fase di ricezione che, se da un lato sono difficili da cogliere analiticamente, dall’altro risultano essere un’esperienza ricca di stimoli. Ecco, volevo chiedervi quanto è ricettivo alla vostra musica quel genere di pubblico ancora legato a un certo tipo di clichés old school, quel pubblico che continua a cercare nella musica un formulario prevedibile.
Ivo: Alla gente che ascolta i nostri dischi e soprattutto che viene a vederci dal vivo piace la nostra musica in parte per la molteplicità di strumenti comunicativi che utilizziamo, di linguaggi appunto. Sono, di solito, mentalmente aperti, si intendono di musica, e si concentrano sul risultato piuttosto che sui mezzi che utilizziamo: vogliono sentirsi schiacciati e sfidati.
Simon: In più credo che non sia difficile da analizzare per chiunque, voglio dire che puoi sentire la musica con il cuore piuttosto che con il cervello. In base al tuo stato d’animo, puoi anche sentirlo come un’unica entità, soprattutto live. Il nostro pubblico è solitamente ricettivo alla nostra musica.
Accennavo prima alla disinvoltura con cui vi destreggiate tra tante, diverse, grammatiche musicali, ma dove affondano veramente le radici dei Plebeian Grandstand?
Ivo: Ogni membro della band ha le proprie radici, di solito si tratta delle prime “cotte” musicali. Sono variegate: John Coltrane, Biohazard, Converge, Sonic Youth o Mayhem. Come band non abbiamo radici. Siamo più come una spugna: assorbiamo tutto e rigettiamo ciò che non ci piace.
Simon: Non potrei dirlo meglio, ottima sintesi del nostro approccio.
In estate vi siete imbarcati in un tour statunitense assieme ai Pyrrhon, neo compagni di etichetta nella Throatruiner. Vi va di raccontarci com’è andata? E quali sono secondo voi i principali pregi e difetti del pubblico statunitense ed europeo?
Ivo: È stato pieno di stimoli e di disagio, come ogni tour di ogni band al nostro livello. I Pyrrhon sono persone estremamente divertenti e intelligenti, oltre che una delle band metal più estreme in circolazione. Per quanto riguarda il pubblico, negli USA la gente è più abituata a spostarsi dalla propria città per vedere un concerto che in Europa. Sono anche più inclini a ospitarti anche se non sono parte della crew. Ma forse la differenza che abbiamo percepito di più si trova nel fatto che negli USA eravamo “esotici” e quindi attraenti, mentre in Francia non frega un cazzo a nessuno delle band francesi, il che è un peccato. Quindi è un po’ più difficile raggiungere nuova gente, anche se sono appassionati del tuo sound. Ovviamente è un’analisi spicciola, Europa e Stati Uniti sono posti enormi con diversi tipi di comportamenti al loro interno.
Simon: Andare in tour con i Pyrrhon è stata un’esperienza incredibile, ottimi musicisti e grandi persone. Considerando il nostro livello DIY, andare in tour in un Paese così grande non è facile in termini di riposo e comodità, ma ne vale la pena. La gente è solitamente espansiva e passionale, viene a parlare con noi spesso prima e dopo lo show.
Cosa ci si deve attendere da un vostro concerto?
Ivo: Un’atmosfera seria, negativa e distruttiva. E blast beat. Parecchi.
Simon: Un’atmosfera severa e opprimente.
Prima parlavamo della Throatruiner, per chi scrive una delle migliori etichette al mondo per quanto riguarda una musica estrema con una certa attitudine e orizzonti estetici. Ma la Francia vanta anche altre validissime label: Les Acteurs de L’ombre, Solar Flare, Basement Apes Industries, Lost Pilgrims, Season of Mist. È l’attività di scouting e gli investimenti delle label a creare una solida scena, oppure è una scena valida in partenza a determinare il prosperare di robuste scuderie? Insomma, viene prima l’uovo o la gallina?
Ivo: È una simbiosi molto più complessa e parallela. Tradizionalmente per “scena” intendi “band locali di una determinata zona” quindi dipende se una label sceglie le band con cui lavorare in base ad una logica geografica o no. Se lo fa è un sostegno per la scena locale, se non lo fa ovviamente non lo è. Se si riduce la discussione a etichette medio/piccole e a band medio/piccole, la buona/forte/solida band viene prima, le piccole label non possono produrre dischi deboli. Se parli di prosperità parli di major, quindi è puro capitalismo senza alcuna logica di “scena”. A volte si sente parlare di scena etichettandola secondo l’appartenenza alla label, tipo “la scena della Throatruiner” ad esempio, cosa che di solito la gente ama o odia, e con questo significato di “scena” cambia tutto. Personalmente, non mi importa di alcuna scena. Mi importano solo le band.
Si parlava di Season of Mist. Non so se ricordate la spiacevole uscita del boss Michael Berberian (“Some countries are just HOPELESS. No names, but they makes good Pasta for example”) che, per i musicisti italiani, fu come ricevere una seconda testata da Zidane. Ora, senza soffermarci sul fatto che ha messo sotto contratto gli Hierophant, la domanda è di rito, ma non siate paraculi. Visti dall’estero sembriamo davvero così senza speranze? Voi seguite qualche band italiana in particolare?
Simon: No, davvero non lo sembrate. Sono un grande fan dei Raein da molto tempo, mi piacciono anche Dead Elephant, Gerda, The Secret.
Rimaniamo in ambito calcistico-musicale e spero siate almeno mediamente appassionati di calcio per poter rispondere a questa domanda, che è cazzona, lo so, e mi scuso. Se foste gli allenatori di un’ipotetica nazionale di calcio composta da band francesi, chi convochereste, in che ruolo e perché? Io ad esempio i Plebeian Grandstand li convocherei nel ruolo che è di Griezmann.
Simon: Non possiedo sufficienti conoscenze calcistiche per rispondere adeguatamente alla domanda ma mi piace pensare ai PG come a Griezmann!
Avete già iniziato con la scrittura di nuovi brani? Ci date qualche indiscrezione?
Ivo: Noi pensiamo in termini di album, non di brani. Abbiamo riposto tanta energia, dedizione e materiale in False Highs, True Lows, in maniera davvero molto profonda per noi, e ci sentiamo un po’ vuoti adesso. Lascia che la vita ci riempia un po’, ora. Lascia passare del tempo. Mesi? Anni? Decenni? Chi può dirlo.
Noi abbiamo finito, grazie per il vostro tempo e, come di consueto, chiudete come preferite.
Ivo: Come preferisco? Bene, ti dico cosa sto ascoltando in questi giorni: Sunless, Frontierer, Coma Cluster Void, Telos (Copenhagen), Spektr e Dälek come sempre.