Al revivalismo che negli ultimi anni ha interessato lo shoegaze mancavano all’appello giusto gli Slowdive. Nel complesso panorama attuale troviamo da un lato la corrente nu gaze capitanata dagli A Place to Bury Stranger e Silversun Pickups, dall’altro intromissioni in generi anche parecchio distanti (black e hardcore) e infine una sequenza di reunion che ha coinvolto quasi tutte i grandi pionieri del genere (My Bloody Valentine, Ride, Medicine, Lush, Swerverdriver). La band di Souvlaki per la verità era tornata attiva da un pezzo in sede live, mancava giusto un’uscita discografica che, largamente anticipata dai singoli “Sugar for the Pill” e “Star Roving”, è arrivata in questi giorni con l’omonimo Slowdive, in uscita per Dead Oceans. Manco a dirlo, a ventidue anni di distanza dall’ultimo Pygmalion, il quarto album della band di Reading è di sicuro una delle uscite più attese dell’anno.
La loro musica continua a puntare sull’alternanza delle voci – maschile e femminile – di Neil Halstead e Rachel Goswell, su melodie adulte e più austere rispetto alla norma, su un mite e scarno shoegaze che ha perso quasi tutte le sue componenti noise, aggressive e disturbanti, un sommesso dream pop e un aplomb british. L’album è incorniciato da “Slomo” e “Falling Ashes” due brani speculari, i più lunghi dell’album, che fungono da ideali intro e outro. “Slomo” è un lento mantra, etereo, che a tratti sembra Moby, in cui le due voci si sovrappongono delicatamente, ricorsivo e senza grossi sviluppi se non per un guizzo strumentale e un finale terso. I due singoli sono probabilmente i pezzi migliori dell’album. “Sugar for the Pill” ha toni più dream pop, risultando calda, avvolgente, capace di aprire un varco temporale e tracciare una linea che da un capo evoca lo spirito della prima metà dei Novanta, mentre contemporaneamente dall’altro è estremamente à la page. “Star Roving” è di un altro tenore, una lezione di impalpabile e grintoso shoegaze dalla semplicità disarmante e inarrivabile bellezza. Come d’altronde l’elegantissima “No Longer Making Time”. Più dinamici e sbrilluccicanti, invece, quei pezzi in cui la voce dominante è quella di Rachel, in particolare “Don’t Know Why” e ad “Everyone Knows”.
Nessun miracolo – e probabilmente tra un paio d’anni, quando si parlerà di Slowdive, si tornerà a pensare alla band di Just for a Day e Souvlaki – ma questo disco è una lectio magistralis di chi torna in cattedra, dopo più di vent’anni, a dir la sua. E un orecchio, anche solo per questo, bisogna comunque prestarglielo.
(Dead Oceans, 2017)
1.Slomo
2.Star Roving
3.Don’t Know Why
4.Sugar for the Pill
5.Everyone Knows
6.No Longer Making Time
7.Go Get It
8.Falling Ashes