I francesi Mudbath si ripresentano ai cultori del post-metal con il nuovo album Brine Pool, un disco che ha interesse nel ricercare degli elementi nuovi nel fin troppo inflazionato calderone del genere trattato. Alla base tipica del sound fanno capolino anche degli squarci black metal oltre che a certo prog metal oscuro ed ipnotico.
Se la prima traccia “Burn Brighter” lasciava ben presagire un disco variegato, grazie ad un miscuglio di ritmiche black metal, parti più lente e mastodontiche (con un basso grasso) e vocals alternate tra hardcore/metal e screaming, ciò non si può dire esattamente del resto del lavoro. In fin dei conti l’album è ben suonato ma, come tante volte il sottoscritto ha affermato, è un continuo susseguirsi di cliché e ripetizioni dei soliti schemi strumentali che rischiano davvero di affossare il genere (come anche gli altri). Tralasciando la traccia “Zone Theory” (una scheggia elaborata e pesante, interessante nella struttura e non banale) tutti i rimanenti brani vivono di momenti e purtroppo offrono ben poco in più a quanto fatto da una miriade di altre band di settore. Per fare qualche esempio “Seventh Circle” ha un inizio dark alla Tool per poi fossilizzarsi su di uno statico minestrone a base di melodie, rallentamenti apocalittici ed atmosfere sognanti (come anche in “Rejuvenate”, dove l’etereo domina) mentre canzoni come la scontata “End Up Cold” o la glaciale “Fire” appaiono troppo di mestiere.
Per farla breve, un lavoro dedicato solo ai fan sfegatati del genere, gli altri possono andare su altro.
(Lost Pilgrims Records, Third I Rex, 2017)
1. Burn Brighter
2. End Up Cold
3. Seventh Circle
4. Zone Theory
5. Rejuvenate
6. Fire