Secondo lavoro per gli Ur, rilasciato a fine novembre 2017 tramite Droneburg Records. Sin dalla copertina è chiaro come il tutto sia velato da un grigio alone di nebbia e gelo: quattro monolitiche tracce che spaziano tra il drone e lo sludge.
L’album parte con “Grey Wanderer” che ha un approccio vicino al drone con lunghi passaggi ambientali fatti di feedback e layering, il tutto con una forte componente psichedelica soprattutto nelle linee di basso ipnotiche e potenti. Lo stesso mood narcolettico lo possiamo trovare nella seguente “Bringer of the Harvest” che nel finale vira pesantemente verso un funeral doom che potrebbe fare la gioia dei fan dei Morne. L’utilizzo della voce si limita a brevi passaggi che accentuano le sfuriate nei brani, con una forte impronta post-metal. Più tipicamente sludge l’attacco di “The Rift” che potrebbe portare alla mente i connazionali Cranial per la crudezza dei riff. La chiusura del disco è più legata alla ritualità fatta di arpeggi e lunghe progressioni svela un lato inaspettatamente intimista per il combo di Lipsia.
Grey Wanderer è un buon lavoro, che non deluderà gli amanti dei suoni dilatati e atmosferici. Gli Ur riescono a trasmettere pesantezza e atmosfera in maniera personale ed estremamente intrigante. Un ascolto consigliato per questo periodo buio e grigio dell’anno.
(Droneburg Records, 2017)
1. Grey Wanderer
2. Bringer of the Harvest
3. The Rift
4. Shapeless Shrine