Noi di Grind On The Road teniamo d’occhio i Noise Trail Immersion da tempo, avendoli ospitati al GOTR Fest nel 2017 e poi apprezzati l’anno seguente al Frantic Fest. E forse abbiamo avuto un buon fiuto, dato che sull’Internet – e non solo – si fa un gran parlare dei cinque ragazzi torinesi sin dall’uscita del secondo lavoro Symbology Of Shelter. L’album, pubblicato da Moment Of Collapse Records, Shove e Drown Within Records, è in effetti una gemma nera in cui mathcore, black metal, post-metal (8-string blackened chaos è la definizione che la band dà del proprio suono) e sensazioni estetiche di varia natura si condensano in maniera spontanea, intimista, viscerale, come evidenziato in sede di recensione.
Non potevamo, quindi, perdere l’occasione di contattare la band per uno scambio di battute sul suono, sui temi e sui connotati cinematici di Symbology…, aprendo inoltre a considerazioni sull’attitudine della band nei live e nel privato, oltre che sulla loro città natale, la mistica Torino.
Ciao ragazzi, benvenuti su Grind On The Road. Symbology of Shelter è il vostro secondo album, e arriva a due anni di distanza dal precedente Womb. Quali sono, secondo voi, i punti di contatto e di distacco fra i due lavori?
Ciao a voi, e grazie mille per l’interesse! Guarda, probabilmente il principale punto di contatto tra i due lavori è rappresentato dalla volontà di unire caos e oscurità attingendo alle strutture intricate tipiche del mathcore ma al tempo stesso alle atmosfere e in generale all’attitudine del black metal. Il modo in cui è stato approcciato il nuovo lavoro è stato una conseguenza di una nostra personale analisi di Womb sul piano compositivo, nell’ottica di cercare di capire nel modo più possibile imparziale quali siano i suoi punti di forza e quali i suoi punti di debolezza: l’intero concept su cui si fonda Womb è un qualcosa a cui siamo ancora profondamente legati, ovvero il fatto di partire da un background mathcore e cercare di stravolgerlo attraverso la sua commistione con generi apparentemente lontani stilisticamente, ma nei quali siamo sempre stati convinti che sia possibile trovare un comune denominatore in termini quantomeno sonici. Per quanto siamo tutt’ora molto soddisfatti di Womb, però, lo abbiamo trovato a posteriori ancora un po’ acerbo in alcuni suoi aspetti, complice probabilmente il fatto di essere stato il primo vero esperimento della band. Ed è proprio in questi aspetti che possono essere ravvisati a nostro parere i punti di distacco tra Womb e Symbology: Womb è stato il primo approccio verso una nostra personale interpretazione di ciò che forse si potrebbe definire in modo molto spartano “blackened mathcore”, e in quanto tale alcune delle sue tracce risultano più contaminate dalla vena black mentre altre più vicine al mathcore tradizionale. Ciò da una parte ha creato sicuramente una componente dinamica nel disco, ma abbiamo sempre avuto la sensazione che sarebbe stato possibile mantenere lo stesso livello di dinamicità ma con una maggiore maturità e una visione d’insieme più solida. E’ con questo approccio che abbiamo iniziato a scrivere Symbology, che nella nostra mente abbiamo voluto immaginare da subito come un’amalgama inscindibile di caos schizofrenico e oscurità impenetrabile, le cui diverse componenti possono probabilmente essere individuate singolarmente ma non hanno ragione d’esistere se non in modo complementare a ogni altra influenza presente nell’album.
L’album è uscito per Moment Of Collapse, Drown Within Records e Shove. A cosa è dovuta la compresenza di tre etichette, e perché proprio queste tre?
E’ ormai da diverso tempo che siamo in contatto con Sebastian di Moment of Collapse, fin da prima dell’uscita di Womb. Per problemi logistici e di tempistiche, però, alla fine loro ne hanno curato solo la distribuzione digitale, ma siamo sempre rimasti in contatto promettendoci di lavorare insieme anche per un disco successivo. Al giorno d’oggi per un’etichetta underground non è sicuramente semplice gestire tante release, specialmente se l’idea è stampare sia dischi che vinili come nel nostro caso. La coproduzione è sicuramente un’ottima soluzione in questi casi, Sebastian e Manu di Shove hanno già lavorato insieme altre volte e si conoscono bene. Noi inoltre siamo molto amici di Cristian di Drown Within, la roba che fa uscire con DW è davvero figa e lui è un mito, per cui non ci abbiamo pensato due volte prima di chiedergli di partecipare alla produzione.
Oltre ai nostri timpani e ai nostri neuroni, Symbology of Shelter prende a calci pure la forma canzone, preferendo un’impostazione simile a quella di un unico, lungo brano diviso in quelli che sembrano episodi più che canzoni. Come siete arrivati a questa conclusione?
Volevamo scrivere un disco che non lasciasse all’ascoltatore spazi per distrarsi e che lo immergesse in un viaggio conturbante e impegnativo, senza compromessi, da vivere nella sua interezza oppure al contrario da evitare a prescindere. E’ anche per questo che abbiamo deciso di far partire il disco di botto, con una traccia opener vera e propria, probabilmente la più cacofonica, al contrario dell’impostazione “prima traccia = intro” che avevamo utilizzato in Womb. A nostro avviso i primi 30 secondi del disco possono essere interpretati come una sorta di test per l’ascoltare: se decidi di proseguire è perché in un certo senso hai già capito cosa ti aspetta. La scelta dell’impostazione del disco come un unico lungo brano diviso in episodi è una conseguenza di ciò, il disco vuole essere un’esperienza monolitica ma allo stesso tempo non statica, e trova le sue sfaccettature nella diversità dei sette episodi, che si spera risultino all’ascoltatore comunque complementari tra di loro. L’idea di comporre un disco strutturandolo come una traccia unica è una cosa che avevamo in testa da diverso tempo, abbiamo semplicemente pensato che fosse il modo più coerente e sensato per cercare di dare forma unica a un disco che vuole provare a unire stilemi molto diversi tra di loro. Poi per carità, magari è venuta fuori una porcata, questo non possiamo saperlo, lasciamo il giudizio ai veri musicologi. Probabilmente inoltre non ripeteremo lo stesso approccio in futuro, semplicemente per non cadere nella “sistematicità”, ma questo è ancora da vedere!
Nonostante il caos dell’elemento sonoro riuscite a non tralasciare quello visivo: come evidenziamo in sede di recensione, è possibile avvertire l’eco di certo cinema espressionista. Siete d’accordo con questa connessione? Cosa influenza il vostro apparato estetico?
Diciamo che insieme alla passione per la musica coltiviamo tutti la passione per un certo tipo di estetica che rientra negli stilemi di vari correnti cinematografiche, come quella che hai citato tu ad esempio. Sicuramente vi è un filo conduttore tra le varie forme d’arte, basato su una sorta di idea, di concetto comune che poi trova espressione in modalità diverse ma sempre tendenti a richiamarsi l’un l’altra. L’apparato estetico sicuramente mette al centro la figura umana ed è influenzato da un certo minimalismo di fondo, puntando a comunicare quello stesso senso di oscurità e di disagio esistenziale che vogliamo pervada la nostra musica.
I videoclip prodotti per “Mirroring” e “Repulsion and Escapism II” rientrano nella medesima estetica? Raccontateci come nascono e quali sono i concetti che li attraversano.
Direi proprio di sì. Questa volta non volevamo fare il solito playback, come accaduto in passato, e abbiamo optato invece per dei video più concettuali, che si sposassero bene con l’estetica del disco e le tematiche trattate nei testi. Il video di “Mirroring” è nato dall’idea di filmare in maniera caotica gli interni di alcune delle chiese di Torino, ricollegandosi concettualmente alle riflessioni sulla fede presenti nei testi. Il video di “Repulsion..” invece è un po’ più onirico, contiene stralci di film che ci piacciono molto e abbiamo voluto mettere in sottoimpressione le lyrics in uno stile “sottotitolato” molto minimale, cercando di creare un collegamento tra le immagini e i testi.
L’altissimo livello tecnico dei vostri brani suggerirebbe che siate dei musicisti nerd, nell’accezione positiva del termine, ovvero dediti a uno studio minuzioso. Quanto tempo passate quotidianamente sullo strumento? Qualcuno di voi si dedica esclusivamente alla musica?
Dedichiamo davvero poco tempo allo studio dello strumento, lo ammettiamo senza troppi problemi, fatta una debita eccezione per il nostro saggio batterista Paolino che passa la sua vita a blastare e che in tutta onestà riteniamo essere capace sullo strumento più dei due chitarristi e del bassista messi insieme. Poi c’è Fabio che deve solo urlare e disperarsi ma vabbè, secondo noi del comparto strumentale a lui viene naturale farlo bene, probabilmente perché in effetti la vita è quello che è e lui questo l’ha capito e accettato già da tempo. Non ci vergogniamo inoltre di dire che suoniamo dal vivo semplicemente perché ci piace l’idea di portare la nostra musica in giro, di fare nuove amicizie e passare del tempo insieme come band, dato che siamo anche ottimi amici, oltre al fatto di trovare interessante l’idea di creare un vero e proprio “concept” dietro la performance live, attraverso l’ausilio di intermezzi, luci, nebbia e così via. Tuttavia siamo ben consapevoli di non essere maestri di strumento; certo, quando si tratta di provare a imparare ciò che abbiamo scritto ci impegniamo, ma l’approccio da strumentista “nerd” non fa per noi (senza voler giudicare nessuno ovviamente) e rimaniamo dell’idea che il modo migliore per entrare in contatto con la musica dei NTI sia ascoltarli in disco (e probabilmente anche la maggior parte della musica in generale, fatta eccezione per alcuni generi che intrinsecamente trovano ed esplicano il loro senso nella riproduzione dal vivo). Potrebbe sorgere spontanea una domanda del tipo: “perché scrivete pezzi così tecnici se non vi ritenete in grado di eseguirli in maniera meticolosa e soprattutto se la tecnica non vi interessa nemmeno così tanto?”. Ne siamo consapevoli ovviamente e risponderemmo dicendo semplicemente che ci piace non porci alcuna barriera in fase di composizione e che per pura casualità la formula che riteniamo migliore e più coerente con l’idea che ci frulla in testa molto spesso prevede partiture complesse da seguire, ma ciò avviene spesso per caso, non per questioni di “showing off” o di virtuosismo in generale. La tecnica probabilmente è solo una conseguenza della tipologia di idea di partenza, ma non siamo mai partiti con l’intenzione di fare necessariamente un genere difficile da eseguire. Probabilmente in futuro faremo roba semplicissima invece, o smetteremo del tutto di utilizzare strumenti musicali veri e propri, questo ancora non lo sappiamo, ma sicuramente non ci precludiamo la possibilità di farlo.
Chi ha avuto modo di assistere a un vostro live ha potuto osservare l’abitudine di Fabio a cantare ricurvo, dando le spalle al pubblico, quasi in un momento di estasi/sofferenza intima. Anche l’uso di luci bianche fisse contribuisce a creare un senso di alienazione e asfissia di pari passo al suonato. Come siete arrivati ad impostare la vostra presenza scenica in tale maniera?
Sì, direi innanzitutto che il fatto di dare spesso le spalle al pubblico è un po’ una conseguenza della nostra concezione di live set come momento intimo da riservare a noi come band innanzitutto, un po’ come se fossimo sempre nella nostra sala prove invece che su un palco vero e proprio, poi ovviamente chi vuole assistere è più che benvenuto, ma non ci piace coinvolgere il pubblico più di tanto: quello lo deve fare la nostra musica, posto che sia in grado effettivamente di farlo. La nostra attitudine sul palco, dal punto di vista scenico, vuole essere il più possibile coerente con la musica stessa, quindi sì ti direi che probabilmente la posizione in cui sceglie di cantare Fabio, le luci fisse, gli intermezzi assordanti, sono tutte parti di un tutt’uno nel tentativo di richiamare le stesse sensazioni che evoca il disco registrato in studio.
Avete incontrato delle difficoltà nel portare su un palco la vostra musica così contorta ed espressiva?
Molte. E’ un processo lungo che non si ferma mai, in continua revisione. Modifichiamo più o meno regolarmente la nostra scaletta nel tentativo di renderla più coerente, coinvolgente, meno pesante per l’ascoltare e, perché no, cercando di minimizzare i problemi e gli errori tecnici che in misura maggiore o minore sono parte delle performance.
Avete già programmato gli appuntamenti live a supporto del nuovo album? Ci sono delle città italiane in cui non avete mai suonato e che vorreste assolutamente visitare?
Sì, abbiamo già programmato alcune date molto carine! Posti in particolare in cui vorremmo suonare non saprei dirtene, ti direi però che più giriamo in posti nuovi e diversi più siamo contenti.
La vostra città, Torino, è famosa per il mito che la ritrae magica ed esoterica. Credete che ciò abbia in qualche modo influenzato la produzione musicale locale? E ha mai influenzato i Noise Trail Immersion?
Sicuramente ha influenzato in diversi modi la produzione musicale locale (ma anche artistica in generale), vista la lunga tradizione esoterica di cui Torino vanta. Alcuni elementi dell’occulto e del simbolismo sono riscontrabili sicuramente anche nella nostra musica, non ti saprei dire con cognizione di causa se siamo stati influenzati direttamente o meno dalla città in cui viviamo, ma sicuramente ne siamo affascinati.
Rimanendo sulle medesime coordinate geografiche, nell’anno in corso hanno debuttato band come Peste e The Turin Horse, che vanno ad aggiungersi alle fila di Haram, O, Tutti I Colori Del Buio, Infall e altri. Cosa e quanto ha ancora da dire la scena torinese secondo voi? Ci sono delle difficoltà alle quali andate incontro?
La scena torinese di per sè ha sicuramente ancora un sacco da dire, gli unici problemi attualmente secondo noi sono prettamente legati alla chiusura di molti locali che ultimamente fanno fatica a tirare avanti. Tutto sommato però non possiamo lamentarci: per quanto sarebbe ancora più figo avere una scena underground più vivace, è sempre bello beccare ai concerti quella poca gente che ascolta la stessa roba inascoltabile che piace a noi.
L’intervista è finita, concludete segnalandoci cosa gira ultimamente tra i vostri ascolti.
Ecco alcune band che hanno rilasciato nuovo materiale nel 2018, per le quali ci siamo presi particolarmente bene: Soldat Hans, Mournful Congregation, Un, Storm{O}, Toby Driver, Daughters, Convulsing.