Battere il ferro finché è caldo… avranno forse tenuto presente le indicazioni in arrivo dalla proverbiale saggezza popolare, al quartier generale della Transcending Obscurity Records, per elaborare un piano di battaglia operativamente proficuo in grado di lasciare tracce indelebili sugli ultimi tornanti death/doom di questo 2019. Avviato lo spettacolo pirotecnico con il debut dei tricolori Esogenesi e in attesa dell’auspicabile piatto forte di prossimo rilascio (leggasi alla voce rentrée dei veterani Officium Triste), la label indiana in sempre più convincente emersione nella galassia underground cala un altro carico da novanta grazie ai The Drowning, freschi di arruolamento nel roster assemblato in quel di Mumbai e pronti a iscrivere finalmente il proprio nome nelle pagine nobili di un ipotetico albo d’oro del genere.
La storia del quintetto gallese è stata segnata fin dagli esordi da una discreta sottovalutazione, a cui ha indubbiamente contribuito una collocazione nel grande alveo My Dying Bride che ha finito per schiacciare questi ragazzi sotto il peso dell’inaccessibilità delle vette raggiunte dal combo del divino Stainthorpe, sorta di involontario Crono intento a divorare inesorabilmente tutti i figli che osino avventurarsi sulle sue orme. Per la verità, non tutti gli elementi squadernati nel trittico di full length chiuso nel 2011 da Fall Jerusalem Fall autorizzavano equiparazioni automatiche e scontati parallelismi (a cominciare da una vena black che scorreva sotto traccia molto più a Cardiff che ad Halifax e da una resa vocale tutt’altro che sovrapponibile), ma si poteva oggettivamente intuire che un allontanamento dall’augusto modello avrebbe giovato alla traiettoria artistica dei Nostri e la svolta si era effettivamente materializzata tre anni fa con l’ottimo Senescent Signs. Chiave di volta del nuovo corso è stato l’ingresso nella band del vocalist Matt Small (subito protagonista di una prova monumentale grazie all’incredibile capacità di spaziare tra scream e growl) e una “solennizzazione” delle atmosfere che ha aggiunto colori alla tavolozza mydyingbridiana rivolgendosi ad esempio alla lezione Mourning Beloveth, senza dimenticare le sorprendenti incastonature gothic della magnifica “Never Rest”. C’erano dunque grande curiosità e un giustificato ottimismo intorno al nuovo album e davvero questo The Radiant Dark non tradisce le attese, superando anzi i già ragguardevoli confini raggiunti dal predecessore. L’impressione di fondo è che i The Drowning si siano definitivamente liberati dei pesi delle eredità altrui e siano ormai perfettamente in grado di trovare la propria via di accesso alle sacre fonti del doom/death d’autore, senza per questo rinunciare a riecheggiare i maestri del genere in singoli passaggi o sfumature. La formula vincente messa a punto dai gallesi consiste soprattutto nella valorizzazione della componente melodic death, non consentendo quasi mai ai brani di indugiare troppo a lungo in quella dimensione di “malinconia uggiosa” a cui pure è concesso un tutt’altro che limitato diritto di cittadinanza, tra i solchi del platter. Volendo a tutti i costi passare sotto le forche Caudine del gioco di assonanze & rimandi, ci permettiamo di scomodare l’idea di un incontro tra i My Dying Bride e gli Swallow the Sun di The Morning Never Came (prima cioè che Raivio, Kotamaki e soci decidessero di andare a guardare direttamente negli occhi l’abisso), mantenendo però non solo sullo sfondo un altro grande nome come i Draconian, non fosse altro che per lo straordinario senso di equilibrio nel maneggiare spunti gothic senza cadere nel kitsch dozzinale (e ovviamente al netto del ricorso a contributi vocali femminili, qui del tutto assenti). All’imponenza delle strutture dei brani e alle improvvise scariche di energia che illuminano di colori non solo sinistri paesaggi da cui è rigorosamente bandita qualsiasi concessione al registro della spettralità, vanno oltretutto aggiunti ulteriori elementi che arricchiscono il quadro di riflessi originali rispetto alla canonicamente attesa ortodossia di scuola anglosassone o scandinava ed ecco allora che, sul fronte della potenza in senso stretto, all’ugola di Matt Small si va a sommare in progressione geometrica il lavoro alle pelli di uno straordinario Steve Hart, mentre la coppia d’asce Mike Hitchen/Jason Hodges scaraventa sul palco a tamburo battente riff che pescano nella migliore tradizione classic metal, innestandosi alla perfezione nel corpo dei brani con un carico melodico mai a caccia della facile presa. Un breve intro e sette tracce per quasi un’ora complessiva di ascolto, in una ricerca delle perle più significative The Radiant Dark offre davvero solo l’imbarazzo della scelta e praticamente tutti gli episodi si conquistano sul campo titoli di merito; che si tratti della a lungo swallowiana, prima del tellurico finale, “The Triumph of the Wolf in Death”, delle spire solenni che avvolgono “All That We Need of Hell” o delle appena accennate velleità prog di “Harrowed Path”, la soglia di attenzione e coinvolgimento non si abbassa mai, fino a raggiungere picchi assoluti nelle tre gemme a più alta caratura del lotto. In questo podio nel podio brillano sia la trascinante “In Cold Earth”, dove il gothic/doom celebra il suo tripudio avvicinando la mostruosa resa Helevorn, sia la delicata “Blood Marks My Grave”, che chiude il viaggio in modalità semi-ballad con l’unica, vera e peraltro riuscitissima concessione alle atmosfere malinconico/autunnali, ma il vertice assoluto è raggiunto dalla caleidoscopica “I Carve the Heart from the Universe”, che sfodera nel corpo centrale un cammeo spagnoleggiante in cui le chitarre acustiche dispensano a piene mani eleganza e raffinatezza, prima che piombi sulla scena il riff più ottantiano della compagnia.
Fruibilità e potabilità mai dissociate da una straordinaria profondità di campo, una grande prova di maturità sorretta da un’ispirazione che non conosce la parola intermittenza, The Radiant Dark è un ulteriore e decisivo passo avanti in una carriera improvvisamente rivitalizzata da scelte artistiche coraggiose e quanto mai opportune. Complimenti ai The Drowning, stavolta la freccia partita dal loro arco è arrivata davvero vicino, al centro del bersaglio doom/death.
(2019, Transcending Obscurity Records)
1. Alpha Orionis
2. The Triumph of the Wolf in Death
3. Prometheus Blinded
4. In Cold Earth
5. All That We Need of Hell
6. Harrowed Path
7. I Carve the Heart from the Universe
8. Blood Marks My Grave