Il lavoro del recensore comporta inevitabilmente, come già sottolineato dal sottoscritto in altre occasioni, il confrontarsi con dischi peculiari ed in grado di creare qualche difficoltà. In realtà la musica del quartetto svizzero chiamato Scratches non è così complessa, ma anzi, può essere tranquillamente inserita nel contesto del dark pop elettronico. Il terzo e nuovo album denominato Rundown è un chiaro ritratto di tutto ciò, eppure tali sonorità vengono veicolate in maniera trasversale e per nulla immediata. Parlare di pop non immediato potrebbe sembrare ossimorico, eppure la band, capitanata dalla meravigliosa Sarah-Maria Bürgin, potrebbe esserne considerata un’esponente.
Il sound è costruito, per l’appunto, sulle vocals della bionda cantante, che ha l’impegnativo compito di trainare le canzoni. Gli strumenti difatti ruotano attorno ai suoi vocalizzi, non andando mai oltre il consentito. Le sezioni elettroniche sono forse l’unico elemento che si prende i suoi spazi. L’amalgama musicale qui proposto si tinge di soul (“Between”), gotico/teatrale (“Sorry”), dance dai toni tragici (“Lie”) senza perdere mai personalità. Come precedentemente anticipato, questo disco non è affatto prevedibile, e lungo ogni traccia emergono fuori sfumature particolari. Ciò si nota ad esempio in brani più dinamici come il trip-hop di “Ghost in the House”, dove, finalmente, la chitarra si fa più presente (seppur minimale) grazie a pennellate liquide che profumano molto di post-rock, mentre la bionda cantante fa volare la sua voce. Ciò che si ritrova ad ascoltare spiazza di continuo, e necessita davvero di tanti ascolti per essere assimilato e compreso: alla band piace giocherellare con gli umori, passando da tracce solari come la titletrack “Rundown” all’intensa e grigia ballad “Virgin Tree”. Notevole è anche “Charon”, con quel suo incedere ai limiti del doom che va a braccetto con un dark rock pregno di un cantato roco e sofferto. Il finale invece spiazza ulteriormente, con una lunga traccia chiamata “Song of the Unborn”, presentante al suo interno toni apocalittici simil industrial, con la chitarra che si prodiga in affreschi acidi. L’elettronica è qui come un parassita che piano piano consuma l’ignaro ascoltatore, provocandogli quasi dolore. Un metodo compositivo atipico, assemblato ad un livello esecutivo ottimale, rendono questo disco una piccola perla nera. Il un muro di suono impenetrabile che ne risulta è come una coltre nascondente la vera essenza del lavoro, e ciò può essere considerato tanto un pregio quanto un difetto.
Gli impavidi si facciano dunque avanti, e chi non mastica questo tipo di sonorità lo faccia comunque, perché fa bene all’anima in ogni caso!
(Czar Of Crickets Productions, 2019)
1. Between
2. Sorry
3. Ghost in the House
4. Virgin Tree
5. Rundown
6. Lie
7. Charon
8. Song to the Unborn