I grandi debutti, ovvero come condensare in un unico evento le luci di una ribalta qualitativa improvvisamente conquistata e l’obbligo di ripetersi nei cimenti successivi, pena l’inesorabile confronto con una pietra di paragone a rischio ingombro per il prosieguo di una carriera. Non è una legge scritta, non ci sono manuali da consultare con le istruzioni per evitare le forche caudine delle comparazioni compulsive, ma è innegabile che illuminare il cielo di un genere con una supernova comporti inevitabilmente da un lato un’attesa spasmodica per il ripetersi dell’esplosione creativa e dall’altro un’applicazione quasi certosina nel cogliere qualsivoglia variazione di luminosità rispetto all’augusto modello.
Reduci da un quasi capolavoro del calibro di Serrated e sempre acquartierati nella scuderia tricolore Argonauta Records, tocca agli An Evening with Knives affrontare la sfida del ritorno sulle scene e, a poco più di due anni di distanza dal predecessore, il terzetto di Eindhoven prova a ripercorrerne le nobili tracce confermando il tocco magico che aveva caratterizzato l’esordio. Le premesse che si tratti di un cimento tutt’altro che banale albergano nell’impeccabile e unico gioco di dosaggi tra componenti che avevano impreziosito Serrated, al punto che, a fronte di una collocabilità di massima nell’orizzonte post metal/atmospheric sludge, anche i devoti delle sonorità doom, stoner e psych si erano potuti abbeverare con pari compiacimento a una fonte in grado di distillare un nettare di primissima qualità. Confrontato con una simile prova, in un quadro d’insieme da cui sono comunque rigorosamente bandite ombre di vera e propria delusione, questo Sense of Gravity non riesce a far vibrare le stesse corde o, meglio, pur solcando le stesse acque in termini di ispirazione, si rivela meno coraggioso e con un tasso di prevedibilità indubbiamente più marcato. Il primo dato in evidenza è un arretramento delle spinte post e sludge, per un esito che sbilancia complessivamente il platter verso il polo della fruibilità e dell’immediatezza, al prezzo però di una minore profondità di campo, che incide innanzitutto sulla “riconoscibilità” delle singole tracce, assolutamente mai banali ma allo stesso tempo mai davvero avvolte dall’alone della memorabilità a prova di ascolti ripetuti. Lo spazio lasciato libero dal ripiegamento delle linee più oscuramente orientate viene così occupato da un parallelo incremento del peso della componente stoner e, in misura minore, di quella doom, sempre intesa nella sua accezione classica, lontana dalle suggestioni della scuola scandinava. Se a questo aggiungiamo una maggiore evidenza di quelle spinte rock e alternative metal già peraltro più che sottotraccia nel debutto, verrebbe da ipotizzare un percorso paragonabile a quello intrapreso dai Baroness nel recente e controverso Gold & Grey, ma in questo gli An Evening with Knives dimostrano un carico di personalità alla prova dei fatti superiore, potendo contare (e sfruttandola fino in fondo) sulla carta/jolly di un frontman dal talento sterminato. Che si tratti di mettere a frutto un timbro vocale sabbiosamente spigoloso da rocker settantiano o di avventurarsi con le sei corde nel sacro regno dei riff, Marco Gelissen sfodera un’altra prova mostruosa (ebbene sì, John Baizley, se ti stanno fischiando le orecchie sappi che stiamo pensando proprio a te, alla voce “rimpianti”…), che promette vette di impatto clamorose in sede live. Non meno significativo, tra le note positive dell’album, il contributo in arrivo dalle quattro corde di Peter van Grunsven, a cui è affidato il compito di rendere dense le atmosfere e di instillare gocce di inquietudine, impedendo che gli apporti melodici prendano il sopravvento e che la potabilità dell’insieme sfoci in un easy listening di corto respiro. Quando poi, come nell’opener “Sacrifice”, alla sporcatura delle linee narrative si accompagnano anche una buona modulazione della tensione e qualche intervento sulla struttura del brano (nella fattispecie, sono sicuramente da premiare la costruzione e la gestione dello stop and go che prepara il finale), o come quando nella lapidaria “Levitate” qualche refolo psych illumina sinistramente una base muscolarmente orientata, ecco che i Nostri ritrovano subito l’antico smalto, peccato però che simili episodi restino complessivamente isolati nell’economia di un lavoro in cui finiscono per prevalere scelte decisamente meno coraggiose. Non che ciò sia assolutamente sinonimo di fallimento (difficile non farsi coinvolgere dall’eccellente assolo di scuola blues che chiude una traccia fino a quel momento molto convenzionale come “Turn the Page”), ma la sensazione costante è che il motore non riesca a girare a pieno regime, affidando a un sia pur buon pilota automatico le scelte nei momenti decisivi. La seconda parte dell’album è, per questo aspetto, particolarmente indicativa, a cominciare dalla semi-ballad “On Your Own” (che prova a sconfinare in territori atmosfericamente rarefatti scomodando finanche qualche reminiscenza grunge ma trovando solo in parte la scintilla in grado di attivare la modalità trasporto emotivo), oppure prendiamo la coppia di chiusura “Endless Night/Every Ordinary Day”, in cui pure le pregevoli impronte post della prima o il delicato retrogusto malinconico della seconda garantiscono una buona linea di galleggiamento, tenendo più che accesi i riflettori, sull’arsenale artistico degli olandesi.
Una scossa di assestamento dopo un grande evento tellurico, un prudente consolidamento delle posizioni in vista di un’ulteriore, auspicabile ripresa della travolgente avanzata di cui la band si era dimostrata capace nel debut, Sense of Gravity è un album che, pur non facendo gridare al miracolo, supera abbondantemente la soglia dell’accettabilità, meritandosi ben più di qualche ascolto distratto. Niente supernova stavolta ma tutt’altro che un freddo meteorite in orbita nel gelo siderale dell’anonimato, la navicella An Evening with Knives regala sempre qualche ottimo motivo, per salire a bordo.
(Argonauta Records, 2020)
1. Sacrifice
2. Escape
3. Levitate
4. Turn the Page
5. On Your Own
6. Endless Night
7. Every Ordinary Day