Se lo stoner boccheggia, l’heavy psichedelia attuale sta in qualche momento vivendo una nuova ondata di presunta freschezza nonostante venga data un’eccessiva importanza a gruppi poi meno esplosivi di quanto venga declamato. Gli Elephant Tree (la cui formazione comprende musicisti di svariate estrazioni geografiche tra America, Nuova Zelanda e Inghilterra) cavalcano l’onda del genere con i pregi e difetti del caso con il nuovo album, il terzo, a nome Habits. Il gruppo cerca quindi di andare oltre al pessimo album precedente, incentrato unicamente sull’ennesimo esempio di stoner/doom a tinte psichedeliche.
Bisogna dire che c’è stata un evoluzione e che la tragedia non è così vicina come si temeva. Dopo l’intro si respira subito aria nuova grazie ad un miglioramento sia nelle voci più evocative che nel variare i riff fumosi e rendendoli più dinamici e mai fine a sé stessi grazie anche a melodie post-rock e mood arabeggianti (“Sails”). Purtroppo però poi il quartetto ci ricasca con “Faceless” tornando al solito doom/stoner trito e ritrito ma fortunatamente ci inserisce intarsi blues, derive psichedeliche e qualche coro più etereo per rendere la proposta più fruibile. Pare quasi ci sia il terrore di allontanarsi dagli schemi e lo si sente in parecchi momenti nell’album come “Exit The Soul” che parte bene con intrecci elettronici ed un cantato salmodiante per poi perdere in sorpresa con le solite ritmiche lente ed oscure. Si cerca di migliorare la situazione con la ballad blues mescolata con violini folk “The Fall Chorus”, che risulterebbe anche piacevole ma rimane lì senza risplendere. “Wasted” fa ripiombare l’ascolto nel trito e ritrito e pure “Broken Nails” in parte lo fa però ha quella marcia in più grazie a quel riuscito mix di acustico, southern ed esplosioni apocalittiche. Troppo mestiere, finora, e poche idee innovative, però accade il miracolo insperato con “Bird” dove finalmente la band riesce ad uscire dal nido. E’ una sorta di mantra fiammeggiante con cori celestiali, giri di chitarra simil epic metal e piccoli tocchi psichedelici alla Pink Floyd per finire con un assolo infuocato pregno di atmosfere settantiane. Potrebbe essere un ottimo punto di partenza per lavorare al prossimo disco sperando che non ci si focalizzi nuovamente sui soliti cliché dato che le qualità compositive ci sono e la padronanza tecnica pure.
Habits è un’opera che manca il bersaglio e si ostina troppo ad una visione sonora con i paraocchi. Però non tutto è perduto, diamo fiducia agli Elephant Tree per il futuro. Per il momento: disco interessante ma che non fa gridare al miracolo.
(Holy Roar Records, 2020)
1. Wake.Repeat (Intro)
2. Sails
3. Faceless
4. Exit The Soul
5. The Fall Chorus
6. Bird
7. Wasted
8. Broken Nails