In qualche modo gli islandesi Sólstafir, durante la loro lunga carriera, pur avendo piano piano cambiato pelle hanno sempre mantenuto tutti i trademark del loro caratteristico sound, a partire dalla particolare voce del chitarrista/cantante Aðalbjörn Tryggvason. Tre anni sono passati dal precedente Berdreyminn ed il quartetto nordico torna all’attacco con un album alquanto controverso come Endless Twilight Of Codependent Love, che suona come una sorta di ritorno al passato inframmezzato dalla sperimentazione degli ultimi dischi.
Non a caso abbiamo usato il termine controverso per definire il disco, perché possiede come un sentore di incertezza generale che aleggia in più di un’occasione. Manca forse un filo conduttore ai brani che paiono quasi una compilation. Le tracce, per quanto di qualità oltre la media di molte band, sembrano slegate; per fare qualche esempio si passa dal rock immediato della quadrata “Alda Syndanna” (interessante il duro epilogo) ad episodi come la drammatica “Her Fall From Grace” con quelle melodie scheletriche, ed il black metal di “Dionysus” che evolve in un mood storto e acido, virando stranamente verso il jazz di “Ör” pregno soprattutto di blues (notevole l’esplosione corale finale) per arrivare ai Pink Floyd della leggiadra “Til Moldar”. In realtà la band è sempre stata trasversale ed ha spesso mescolato i generi, ma in questo caso paiono episodi isolati e buttati lì senza una ragione chiara. C’è sempre il solito senso di tragedia e di dramma immutabile resi forte da un uso della melodia dolente che traspare in brani dark come la notturna “Rökkur” (con il suo mood morente dettato da riff molto cupi della sei corde) o anche la lenta “Drýsill” che riporta alla mente qualcosa di Svartir Sandar per quel senso triste ed ossessivo per poi tramutarsi in una cavalcata imponente nel regno celeste. Se consideriamo solo queste tracce si avverte un senso di smarrimento impercettibile ma presente, che taglia un po’ le gambe ad un lotto di canzoni eseguite con grande perizia e con la giusta dose di idee. Fortunatamente a bilanciare ci pensano l’opener “Akkeri”, lunga sui dieci minuti, che mescola al suo interno psichedelia, black metal, ritmiche jazzate, melodia e groove senza perdere un secondo di potenza espressiva grazie anche a riff rugginosi e pennellare melodiche di un pathos epico non indifferente. A chiudere poi il cerchio ci pensa l’altrettanto ottima “Úlfur” che richiama il passato più antico del gruppo e lo si evince da un giro di chitarra imponente che crea un muro di suono maestoso, fiammeggiante senza bisogno di orchestrazioni o orpelli inutili chiudendo un album forse troppo dispersivo ed un gradino sotto Berdreyminn. Nulla da dire sulla prestazione della band dove ognuno ha il suo posto ed è valorizzato al meglio grazie a suoni nitidi, caldi e cristallini.
Endless Twilight of Codependent Love non un è capolavoro ma l’ennesimo ottimo disco di un gruppo ancora forse troppo sottovalutato ed ignorato da molti, nonostante livelli di qualità sopra la media. Da avere ma con una leggera punta di amaro.
(Season Of Mist, 2020)
1. Akkeri
2. Drýsill
3. Rökkur
4. Her Fall From Grace
5. Dionysus
6. Til Moldar
7. Alda Syndanna
8. Or
9. Úlfur