I Midnight Odyssey sono una realtà ormai consolidata nel panorama black metal mondiale, soprattutto per quanto riguarda quello più atmosferico e più vicino all’ambient. La one-man band australiana, con sede a Brisbane, è attiva dal 2007 per opera del polistrumentista e genio musicale Dis Pater (unico membro anche dei progetti The Crevices Below e Tempestuous Fall); questo Biolume Part 2 – The Golden Orb, pubblicato dalla nostrana I, Voidhanger Records, è il secondo capitolo di una trilogia iniziata nel 2019 (il primo capitolo era intitolato Biolume Part 1 – In Tartarean Chains) ed è un concept album sulla figura del sole, visto dal punto di vista della mitologia classica e continuando il cammino tematico intrapreso con il predecessore. Tra i due capitoli, nel 2020, sono stati pubblicati i due album di space ambient Ruins Of A Celestial Fire e Ashes From A Terrestrial Fall.
Se la prima parte del 2019 riguardava la creazione della luce nei meandri più profondi delle tenebre, questa seconda parte narra del confronto con la luce e del suo abbraccio, dell’essere esposti al potere maestoso, bruciante e insopportabile del sole, paragonabile a rimanere incatenati in un deserto. Anche in questo disco permea la volontà del nostro compositore di distaccarsi dal black metal, nel senso stretto del termine, in favore di brani di più ampio respiro (data anche la media lunghezza di circa dieci minuti) e più abbordabili anche per chi non è troppo avvezzo al metal estremo; pur mantenendo le proprie linee guida fatte di synth ai limiti dell’ambient e di atmosfere sognanti, in questo album lo stile dei Midnight Odyssey è diverso rispetto ad ogni altra pubblicazione, in quanto Dis Pater è stato influenzato dall’epic heavy metal e dal doom di band come i russi Scald o gli inglesi Solstice, ma anche dalla musica medievale (come un moderno trovatore) ed è innegabile l’impronta dei Bathory dell’epoca viking (Blood On Ice su tutti).
I 103 minuti di Biolume Part 2 – The Golden Orb iniziano con “Dawn-bringer” e il sole artistico dei Nostri si scorge oltre l’orizzonte e si innalza nel cielo dell’ascoltatore, grazie alla pomposità e all’epicità maestosa del brano, dove si alternano cori in stile Bathory, riff melodici quasi gioiosi (come a testimoniare la felicità dello scorgere il sole dopo le tenebre) e momenti tetri più tipici del black metal, con la voce di Dis Pater prevalentemente pulita (salvo nei momenti più oscuri dove riaffiora la tipica voce graffiante dell’australiano, paragonabile a quella di Ihsahn degli Emperor). Una suono di cornamusa creato dai synth ci introduce a “The Saffron Flame”, dove tornano i cori epici e la voce recitante tipica del doom si sovrappone ad una perla di epic metal come non si sentiva da tempo. Il terzo brano in scaletta è “Golden Orb” e qui possiamo capire quanto i Bathory abbiano influenzato la stesura delle canzoni; riff e batteria sembrano usciti da Hammerheart o da Blood On Ice, ma personalizzati con tappeti di tastiere (ora tetri, ora epici) ad accompagnarli e la voce che varia dal tipico cantato doom, alla voce gracchiante in stile black metal fino alla doppia voce pulita a creare un effetto da drizzare i peli nelle braccia e come conclusione stupendi cori eterei che ci accompagnano fino alla prossima traccia. “Rise Of Thunder” inizia con epica drammaticità e la voce che ricorda molto King Diamond, per poi trasformarsi in un ibrido epic/doom metal con aperture sinfoniche e riff folk, intervallati a momenti epic black metal. La quinta canzone è “Aurora Burning” e qui sembra che Dis Pater si voglia prendere una pausa, con un brano di non metal lento in cui compaiono solo chitarre acustiche e synth ad accompagnare la voce, pulita e suadente, creando comunque un episodio di elevato pathos, nonostante l’assenza della sezione ritmica. Con “The Unconquered Star” tornano in gioco tutti gli strumenti del nostro autore/compositore, insieme a fiati medievali, cori solenni, in una canzone epic metal dalla conclusione in stile ambient; si prosegue con “Below Horizon” dove tornano a farsi sentire le influenze di Quorthon e della sua band, in un mix di riff granitici ed epicità dataci dai synth e dai cori (pregevoli intro e outro del brano che richiamano l’Estremo Oriente, non a caso terra del Sol Levante). Ottavo e penultimo capitolo del disco, “The Chains Become Mine”, introdotto dalla chitarra acustica, riprende i cori del precedente, con un incedere lento ma maestoso.
Come già successo in Biolume Part 1 – In Tartarean Chains, anche in questo album Dis Pater ci vuole sorprendere con un brano orecchiabile, posto in conclusione, dal sapore darkwave, riportante alla mente i VNV Nation senza elettronica o i Depeche Mode più tenebrosi, composto da soli synth e voce. Come dal titolo, i fuochi si sono raffreddati (come specificato nella bio che accompagna il disco, “questo succederà alla fine del nostro pianeta, quando l’umanità sarà già scomparsa dopo aver affrontato la propria resa dei conti”) e la conclusione del disco è arrivata.
Biolume Part 2 – The Golden Orb è una gemma incastonata nel panorama metal mondiale e ci restituisce un genio creativo assoluto, come a ribadire quanto l’Australia sia terra fertile in materia di metal e non solo. Godetevi questo capolavoro e preparatevi a sentire il calore del sole sulla pelle.
(I, Voidhanger Records, 2021)
1.Dawn-Bringer
2.The Saffron Flame
3.Golden Orb
4.Rise Of Thunder
5.Aurora Burning
6.The Unconquered Star
7.Below Horizon
8.The Chains Become Mine
9.When The Fires Cool