È la genovese Brucia Records, lo scorso 5 febbraio, a farsi carico dell’uscita di Relics of Mourning degli statunitensi Varanak. Presentato come l’esordio della band, è in realtà una compilation nata dall’unione di un EP e un demo del 2020, entrambi autoprodotti dalla one-man band del New Jersey. Il lavoro si articola in cinque lunghi brani (mai sotto i 10 minuti) che si orientano tra depressive/atmospheric black, doom e sprazzi post-metal, alternando momenti di rara pesantezza a delicati interludi e malinconiche derive che sfiorano quasi il post-rock.
Relics of Mourning è un album impegnativo: non capita tutti i giorni di trovarsi ad ascoltare più di un’ora di black-doom senza quasi distinzione tra i brani, rischiando di perdersi in una composizione che spesso chiede all’ascoltatore un impegno non da poco per essere fruita appieno. Ne vale la pena però. Il lavoro si apre con “Aconites and Marigolds” (una bellissima associazione fono-visiva con il mazzo di fiori ritratto in copertina) dal riff iniziale nostalgico e sgranato, tappezzato da vocals gutturali da oltretomba, che quasi evocano una sepoltura di cui i le piante del titolo potrebbero rappresentare l’ornamento. Il tema funebre viene portato avanti dalla traccia seguente, “Relics Immemorial”, forse, tra tutte, la traccia che più deve alle influenze doom del compositore, col suo suono pesante e distorto che, nella seconda parte, viene soppiantato da una scatarrata black piuttosto appiccicaticcia (era forse meglio terminare col bell’intermezzo atmosferico…). La misteriosa “Evergreen” copia il modello della opener, aprendosi con un riff malinconico e trasformandosi in una belva blackened doom lacerata da urla bestiali e sottesa ad un delicato giro di sei corde. La sintesi dell’album è la quarta traccia, “The Void of Despair”, che unisce un black crudele e gelido a una malinconia che fa quasi venir da piangere, nel suo protendersi lento e angoscioso, accompagnata da tastiere e accordi altissimi, verso la fine dei sedici minuti di durata del brano.
Il rischio di presentare un full length di una portata, sia di scrittura che di mera durata, come quella di Relics of Mourning è quello di non riuscire a differenziare sufficientemente i brani, finendo per cadere più volte nello stesso pattern, riproponendo stesse strutture o idee in più di una canzone. Capita, ascoltando il lavoro, di imbattersi in uno stesso schema, in un’idea già sentita, nel fatto (apprezzabile o meno) che molte canzoni siano strutturate in due parti, una più pesante ed una più riflessiva. Pur con queste limitazioni, dovuta a mio parere alla durata eccessiva non dei brani ma dell’opera tout-court, Relics of Mourning è un album emozionante, capace di passare dalla malinconia dei Thou alla catarsi panica dei Wolves in the Throne Room senza mai abbandonare una ferocia metallara di base. La mancanza di una netta distinzione tra i brani e il fatto che niente li caratterizzi in modo definitivo (necessariamente un difetto? Decidete voi) rende il nuovo lavoro dei Varanak una cascata di emozioni, una pioggia di fiori sopra alla bara di cui ogni nota dell’album è un chiodo.
(Brucia Records, 2021)
1. Aconites and Marigolds
2. Relics Immemorial
3. Evergreen
4. The Void of Despair
5. Бога нет