È possibile quantificare il vuoto? Questa è la domanda intorno a cui si muovono tutti i miei pensieri nel momento in cui si concludono i quarantatré minuti e trentaquattro secondi di Vide (letteralmente “vuoto”), l’ultimo album dei belgi Emptiness. Guardando a quella che è stata (ed è ancora) la loro carriera si potrebbe essere portati a pensare che si tratta di un passo falso rispetto agli inizi, quando ancora Jérémie Bézier e compagni si muovevano tra le coordinate metal in senso stretto. Una sorta di passaggio a vuoto in cui si sono eccessivamente rammolliti. Mentre invece è esattamente il contrario. L’album è quanto di più “radicale” abbiano mai partorito. Talmente radicale che non siamo forse nemmeno in grado di capirlo a dovere, fino in fondo. Ci penserà probabilmente il tempo, a restituircelo con i dovuti interessi, nella sua intrigante magnificenza nel prossimo futuro. Il loro è un vuoto che rappresenta l’abisso in cui rischiamo di precipitare, il nulla che ci attanaglia in questi mesi di lockdown forzato, l’infinito che pur sforzandoci non riusciamo a definire e a mettere a fuoco. Così come non riusciamo noi, in sede di recensione, a dare una classificazione al disco, che non possiamo non inquadrare come un qualcosa di inclassificabile sia come concezione che da un punto di vista emotivo. Secondo alcuni Vide può essere riassunto come l’anello di congiunzione tra post-punk e trip-hop. A nostro parere si va oltre tutto questo. Sarebbe troppo facile (e quindi troppo bello) se fosse davvero tutto riconducibile a questa commistione di termini. Avremmo già svolto il nostro compito e potremmo passare ad altro. Ma non è così.
Vide è il punto di non ritorno per chi segue gli Emptiness dagli esordi. C’è infatti il distacco totale dal metal sia come sonorità che come estetica globale, e da tutti i suoi cliché. Compreso il cantato che finalmente passa al francese con tutto il fascino che ne deriva in termini di melodia. È anche al tempo stesso il segno del passaggio al noir. L’album è infatti un concentrato di affascinante e nerissima melodia che conquista e che tiene incollati alle casse dello stereo. Un album decisamente romantico, giustamente pretenzioso, azzardato quanto si vuole, ma sicuramente oltre tutto quello che gli Emptiness avevano fino ad oggi realizzato. Dopo tutto che senso avrebbe avuto sonorizzate un anno di lockdown con un disco metal? Dove avremmo trovato quella differenza rispetto al passato? È lo stesso Jérémie Bézier a spiegarlo nelle recenti interviste: “Comprendendo quali sono i miei limiti, sono anche più consapevole di quelli che mi vengono imposti. Quindi continuo a fluttuare in questa dimensione, cercando di essere il più libero possibile, evitando le barriere e, se necessario, rompendole. Volevamo fare un album che ti rendesse claustrofobico pur essendo un viaggio nella sua interezza. Quindi siamo arrivati ad isolarci. Per mantenere questo lato autentico e irreale, nessuno al di fuori del gruppo è stato coinvolto.”
Vide può essere visto come un’ipotetica colonna sonora di un film in bianco e nero che racconta momenti intimistici in una Parigi nerissima e decadente, guardata dietro i vetri durante una interminabile giornata di pioggia coi pensieri che viaggiano altrove mentre le gocce si rincorrono davanti ai nostri occhi ovattandoci l’immagine della città. Un album claustrofobico, monocromatico, freddo e glaciale ma al tempo stesso caldissimo, come essere chiusi in una stanza mentre fuori il mondo non ci aspetta, costretti a ripensare alla realtà e a ridefinirla. Per quello che riguarda la struttura dei brani scordiamoci gli Emptiness per quello che li avevamo conosciuti. Totale assenza di riff, di distorsione e suoni prorompenti. Solo arpeggi e sonorità vintage che si rincorrono con voci sussurrate, aspirate, ovattate, a volte del tutto incomprensibili. “Perché sprecare le tue energie urlando, quando sussurrarti all’orecchio è molto più minaccioso?” ha recentemente dichiarato Jérémie Bézier, aggiungendo che a suo dire l’album sia da inquadrare come “l’inquietante manifestazione dell’ansia sotto forma sonora”. Possiamo dargli torto?
(Season Of Mist, 2021)
1. Un corps à l’abandon
2. Vide, incomplet
3. Le mal est chez lui
4. Le sévère
5. Ce beau visage qui brûle
6. Détruis‐moi à l’amour
7. Plus jamais
8. L’erreur
9. On n’en finit pas
10. L’ailleurs