Si può suonare shoegaze nel 2021 e risultare non diciamo originali, ma almeno freschi e in qualche modo distinguibili? La risposta è “sì, se ci si chiama Slow Crush”. La band viene dal Belgio, e propone quello che sinteticamente potremmo definire come una riuscita unione tra shoegaze (appunto), post-punk, dream pop, e una base di alternative metal brumoso ed etereo à-la Jesu. Facendo un po’ di nomi, possiamo dire che i riferimenti di quanto sopra detto possono essere ricercati in My Bloody Valentine, The Cure periodo Disintegration e il già citato progetto di Justin Broadrick. Tra le band più recenti in grado di ricordare i Nostri da un punto di vista sonoro possiamo citare gli Esben and the Witch nelle progressioni post-punk e nella sezione ritmica muscolare, i Les Discrets nei delicati arpeggi autunnali mentre per il generale impianto che dosa sapientemente i contrasti etereo – pesante sicuramente gli Holy Fawn (gruppo questo ai quali più si avvicinano gli Slow Crush). Quando i Nostri si fanno più rarefatti e la voce della cantante Isa Holliday emerge in tutta la sua delicata impalpabilità ha portato alla mente di chi scrive anche Ghostwriter, il bel progetto dietro il quale si nasconde la mente dei Mors Certa, one-woman band ascrivibile al filone dungeon synth proveniente dall’Arizona.
La sensazione che si ha ascoltando Hush, secondo parto del gruppo belga, è quella di avere un album ben fatto, complesso ma allo stesso tempo godibile, e senza dubbio emozionante. Le atmosfere sono rarefatte, sognanti, caliginose, sospese: come quando in tardo autunno si passeggia di mattina su prati congelati dai primi freddi, mentre il sole deve ancora sorgere del tutto e dissipare le ultime nebbie dell’alba. Dieci pezzi per poco più di 45 minuti che volano via come se nulla fosse: gli Slow Crush anestetizzano l’ascoltatore con i loro giri di chitarra ipnotici, ora grassi e energici, ora leggiadri e subdoli, mandandolo in una sorta di piacevole trance come se stesse vivendo un sogno lucido. Non ci sono echi malvagi o inquietanti nella proposta dei Nostri, cosa che li distingue dagli Esben and the Witch, il tutto è piacevolmente anestetizzante e consolatorio. Non è facile individuare uno o più brani rappresentativi, essendo tutti parte di un unicum sonoro abbastanza inscindibile: ciò nonostante ci sentiamo di segnalare “Gloom”, “Reve”, la titletrack “Hush”, e “Swoon”, questa se si vuole avere un assaggio del lato più energico della band.
Quello che abbiamo tra le mani è un lavoro perfetto per questa stagione: autunnale, quasi freddo, che sa di nebbia e di rugiada, un disco intrigante e tutto sommato nuovo nelle sonorità che propone. I fan delle band descritte lungo la recensione troveranno sicuramente di che gioire, ma si tratta di un ascolto che ci sentiamo di consigliare in generale a chiunque abbia voglia di qualcosa da ascoltare a occhi chiusi, per vagare con la propria mente nei propri ricordi e pensieri.
(Church Road Records, 2021)
1. Drown
2. Blue
3. Swoon
4. Gloom
5. Swivel
6. Reve
7. Hush
8. Lull
9. Thrill
10. Bent And Broken