Nelle note allegate all’album si legge che Dark Mirage, secondo album dei toscani The Blank Canvas, sia da interpretare come “un oscuro miraggio da un pianeta infetto dove la natura si è arresa per lasciare spazio ad uno scenario desolante e residuale denso di contrastanti e multiformi sentimenti. Tu nel centro e intorno soltanto quel che rimane.” Se concettualmente le tematiche sono da contestualizzare in uno scenario fantascientifico a cavallo tra l’utopico e l’ucronico, che strizza però l’occhio a quelle che sono le dinamiche quotidiane di una società ormai inesorabilmente collassata, da un punto di vista sonoro l’album va in direzione opposta. C’è una forte riscoperta della forma canzone per come non siamo più abituati a concepirla e percepirla, schiacciati da scelte che spingono verso un impatto complessivo che assale, annienta e annichilisce, a discapito però proprio di un modo di pensare la musica che per noi che abbiamo diverse primavere sulle spalle riporta agli anni in cui un album era la somma di tutte le sue componenti sonore, distinte ma perfettamente amalgamate.
L’album suona esattamente come dovrebbero suonare tutti quelli che vedo davanti a me in questo momento, ossessivamente sistemati in ordine alfabetico negli scaffali della nota multinazionale svedese. Li scorro mentalmente, scorgendone solo le copertine, e mi rendo conto che quelli che dispongono di un suono così nitido ma al tempo stesso allucinato e schiacciante come Dark Mirage sono davvero pochissimi; non si tratta solo dell’ottima produzione dello Studio73 di Riccardo Pasini. È proprio, a mio avviso, la struttura stessa dei brani che si presta a una valorizzazione di ogni singolo strumento e che tiene conto di ogni minima sfumatura sonora. Può sembrare paradossale, parlando di musica, sottolineare come si riesca a percepire i suoni in modo distinto e non sovrapposti uno all’altro. E per certi versi senza dubbio lo è. Per cui non dovrei stare qui a dilungarmi più di tanto sull’argomento, se non fosse che lo considero il vero punto di forza dell’album. La sua granitica compattezza è infatti la somma di ogni singolo elemento, giustamente e sapientemente dosato per un fine ultimo superiore. Mi piace sottolineare chiudendo l’argomento come la voce, spesso usata come riempitivo, in un album come questo sia da collocare in primissimo piano, al pari delle altre componenti; sia per impatto che per importanza strategica all’interno dei brani. Possiamo sostanzialmente sentenziare, senza paura di sbilanciarci o di cadere, che quello dei The Blank Canvas sia da annoverare e inquadrare come un deciso passo avanti, a livello compositivo. La loro maturazione rispetto al già di per sé notevole debutto di tre anni fa Vantablack è il segno che la naturale evoluzione ha preso l’unica strada che poteva prendere, quella della crescita sotto tutti i punti di vista, collocando il gruppo in quel novero di realtà che hanno un sound proprio immediatamente riconoscibile.
Gli otto brani che compongono Dark Mirage ci portano in un territorio realmente oscuro e ipnotico, dove i contorni delle cose, in continua mutazione, ci impediscono di razionalizzare tempo e spazio. Non è facile, ma soprattutto non è giusto perché suonerebbe riduttivo parlare di loro attraverso il paragone con altri, accostarli ad altre band. Per cui prendeteli esattamente come sono, in blocco e a scatola chiusa, e non ne rimarrete delusi. Quello che definivano loro stessi come “dark metal” nel loro album d’esordio, qui arriva a toccare vette di nitidezza sonora e abilità compositiva che sono certo saprete apprezzare. Un disco “spaziale” in tutti i sensi. Visionario, ma guardando a quello che ci aspetta forse nemmeno tanto. Profetici.
(Drown Within Records, Vollmer Industries, Zero Produzioni, 2022)
1. The Cage Of Fireflies
2. Black Lotus
3. Epitaph For A Friend
4. Mirage
5. Unknown Star System
6. Here For A While
7. Attack Decay Sustain Release
8. Lands
8.0