Come il buon vino, gli album belli davvero si apprezzano dopo averli lasciati a decantare per un po’. È questo il caso dell’ultimo lavoro di S A R R A M, “Albero”, uscito un anno fa e ora interamente musicalmente digerito dal sottoscritto. In concomitanza con questo non-compleanno scambiamo quattro chiacchiere con l’autore.
Ciao Valerio e benvenuto su GRIND ON THE ROAD!
Ciao, grazie mille!
Albero è uscito a soli sei mesi di distanza da SILENZIO, nato appunto durante il lockdown del 2020 in forma collaborativa. Forse proprio per le influenze esterne il sound dell’album si discostava un po’ da quello che sembra essere il tuo linguaggio espressivo consueto. All’interno del nuovo disco ritornano appunto quelle atmosfere che strizzano l’occhio, anzi, l’orecchio, alla musica drone metal e doom, con una particolare attenzione al soundscaping che fa da contorno alle melodie, che risulta molto più ricercato e “maturo” in confronto alle tue prime pubblicazioni. Ci racconti qual è stato il processo creativo dietro queste composizioni e come il tuo modo di scrivere è mutato in questi anni?
Cronologicamente parlando “Albero” è stato inciso prima di “Silenzio” ma per via delle questioni pandemiche è uscito dopo. “Albero” è stato il primo disco che ho deciso di arrangiare, sapevo esattamente cosa avrei voluto ottenere e ho portato avanti questa mia personale visione dall’inizio alla fine. Fin dall’inizio del progetto la mia idea è sempre stata quella di inserire nuovi strumenti disco dopo disco, limando le imperfezioni nel tempo. Credo fermamente nell’imperfezione come parte di un percorso e di quanto questa possa rafforzarti personalmente, trasformandosi nel tempo come un momento di riflessione che tende al miglioramento. Avessi iniziato ad arrangiare in un certo modo dal primo disco, “A Bolu, in C” non si sarebbe probabilmente neanche chiamato così (essendo un chiaro riferimento alla poesia orale improvvisata dai “cantadores” in Sardegna) e “Four Movements of a Shade” non sarebbe mai uscito così cupo/nero, semplicemente perché qualsiasi arrangiamento l’avrebbe reso più colorato e meno claustrofobico. Io di base non ho mai composto qualcosa come S A R R A M e non ci provo neanche; semplicemente arrivo a un punto nel quale sento di dover incidere un nuovo disco, entro il sala e lo faccio.
All’interno della tua musica si mescolano diversi stili, indice sicuramente di ascolti molto differenziati. Quello che ne esce fuori è un linguaggio che a volte risulta molto “filmico”, quasi da colonna sonora. Quali sono le ricerche sonore che ti hanno attraversato in questi anni e da cui trovi ispirazione?
Mi piace tantissimo il suono e mi è sempre piaciuto tantissimo capirlo nel dettaglio per poi plasmarlo a seconda di quello che provo al momento. Ho iniziato con le note per poi ragionare di sola pressione sonora, poi con le frequenze – ovviamente si parla di fattori intrinsechi del suono stesso ma penso sia diverso provare a farlo con coscienza. Suono solo ciò che mi piace e molto spesso questo è totalmente in relazione a quello che vivo in quel momento; a volte ciò che suono riprende anche solo un episodio che mi ha colpito, un volto, un profumo particolare, qualcosa di talmente intenso da diventare un ricordo da imprimere con forza sul mio percorso sonoro, tale che quell’insieme di suoni diventino memoria (la mia).
Proprio rispetto a questa direzione del tuo linguaggio compositivo ho ritrovato una costante all’interno dei tuoi lavori, che si potrebbe riassumere nella voglia di proporre all’ascoltatore un’esperienza sensoriale più che una semplice produzione musicale. In Albero aleggiano delle atmosfere oniriche che guidano l’ascolto verso una dimensione che punta all’oltre. La mancanza di testi e liriche lascia aperto il piano interpretativo, e sicuramente questo fa parte dell’esperienza, ma c’è effettivamente un messaggio che ti sta a cuore e che cerchi di comunicare con la tua musica?
Grazie. S A R R A M per me è pura libertà di espressione e si, mi piace tantissimo provare a garantire un esperienza sensoriale al di là di quella puramente uditiva. Ciò che tendo a far intravedere sono le mie passioni, quello che vivo e come lo vivo e per questo motivo tendo a non veicolare un messaggio in particolare ma anzi, a provare a stimolare l’immaginazione di chi ascolta tramite solo immagini degli artwork e la musica.
Questo vale per tutti i dischi a parte “Silenzio”, trattandosi di un disco di testimonianze.
Facendo un passo indietro, rispetto a Four Movements Of A Shade, il tuo secondo album uscito nel 2018, il sound sembra essersi “schiarito”, diventando molto più melodico e intelligibile a livello sonoro. Non solo, in questo ultimo disco le chitarre e gli strumenti reali sembrano avere una posizione privilegiata rispetto agli strumenti elettronici. Si affaccia anche una vena post-rock che ricorda gruppi come gli ISIS o i Russian Circles, mancano all’appello però le parti percussive. All’interno delle tue composizioni l’elemento ritmico “canonico” risulta messo da parte, con la risultante sensazione della dilatazione temporale, che è un po’ alla base di tutte le tue composizioni. C’è una motivazione artistica che ti ha portato ad operare questa decisione?
Nel 2009 avevo iniziato a suonare la chitarra solo perché avevo una voglia matta di suonare in una saletta, il tutto si trasformò nei Thank U For Smoking e qualche anno dopo lo stesso miracolo avvenne con i Charun. Entrambe le band erano – per così dire – inseribili nel vasto panorama di postrock/postmetal e affini, abbiamo fatto svariati tour e qualche disco quindi gli elementi musicali che descrivi fanno parte di me, anche solo per averci passato più di un decennio a presso e nella forma che hai descritto. La questione ritmica riguarda un personale patto fatto con me stesso dall’inizio del progetto S A R R A M, ossia provare a incidere sempre e solo cose che avrei potuto riportare in sede di concerto più o meno fedelmente. L’elemento ritmico per come piace a me, con il suono che piace a me, in questo momento sarebbe irriproducibile da me in solo e quindi automaticamente fuori dai dischi.
Momento Nerd: questo è il secondo disco che si avvale della collaborazione di James Plotkin per il mastering, personaggio conosciutissimo per i suoi lavori con gli Earth e i Sunn O))). C’è una motivazione in particolare per cui la scelta è ricaduta su di lui? E, sopratutto, il sapere di affidare il tuo lavoro nelle sue mani ha cambiato qualcosa all’interno del processo compositivo?
James Plotkin è un maestro del suono ed una persona di enorme esperienza, tanto basta per mettersi nelle sue sapienti mani ma no, pur sapendo che il tocco finale sarebbe spettato a lui, ho sempre fatto ciò che suonava meglio nella mia testa.
Grazie per il tempo che ci hai concesso, a presto!
Grazie a voi per l’interesse e lo spazio!