Sebbene si possa ipotizzare che gli Smoke arrivino direttamente dal Delta del Mississipi pieno di paludi, sgangherate chitarre, fumi blues e rituali voodoo, nella realtà ci si deve ricredere dato che questo trio è originario del sud dei Paesi Bassi e con The Mighty Delta Of Time debutta nel mondo discografico. Ovviamente il blues è la spina dorsale di questo album, però viene smembrato e riassemblato in una veste particolare dato che i tre musicisti arrivano da band e progetti fra i più svariati (stoner, desert rock, southern, doom/sludge e psichedelia). Rinfrescare un genere può portare a dei rischi notevoli, eppure gli Smoke ci provano con convinzione fra sorprese e qualche scivolone.
Gli impianti corali sono il vero cavallo di battaglia del disco, ciò che trascina ogni dettaglio e lo fa in maniera eterea e ritualistica quasi da sciamano. La pennellata acustica di “Ride” trasporta l’ascoltatore in misteriose paludi inebriandolo di ammalianti vocalizzi per poi tirare fuori un’attitudine sporca e rozza nel blues/southern dal mood punk di “Lineage” che rievoca la nostrana Elli De Mon. La chitarra slide di Kaj Arne Philipse domina incontrollata accompagnata da un cantato particolare, molto morbido e caldo che segue le sfiziose dinamiche strumentali spesso in evoluzione inglobando anche lo stoner rock. Altro tassello interessante è la già citata voce del batterista Roan de Neve che muta spesso l’umore passando dalla dolcezza eterea a sferragliate malinconiche e disagiate quasi grunge (la dura “Bereft” con decise impennate sia chitarristiche che ritmiche). Non c’è mai però una linea retta ma piuttosto si tentano sempre strade differenti anche nello stesso brano con deliziosi intermezzi notturni, guitarsolo acidi, sogni rurali (“Riverbed”) e lunghe fughe psichedeliche che monopolizzeranno la parte finale del disco, forse in maniera troppo esagerata. La psichedelia blues di “Motion” per quanto piacevole tende ad essere ripetitiva e nemmeno la finale “Umoya” riesce a sorprendere, seppure sia sexy e con un bel crescendo. “Time” invece ha un buon potenziale presentandosi dilatata con il basso Martin Raanhuis che pompa per bene le minimali e scheletriche melodie sussurrate e gli squarci chitarristici fino all’esplosione finale. L’album è disomogeneo, non ha probabilmente le idee chiare su quale sia la direzione da seguire mescolando tutte le influenze del gruppo e tirando fuori una sorta di compilation che lascia perplessi.
Un esordio non esente da difetti, ed i pregi non sono ancora ben delineati, eppure il futuro si prospetta interessante per gli Smoke. Determinazione e convinzione potranno portare a risultati notevoli.
(Argonauta Records, 2022)
1. Ride
2. Lineage
3. Bereft
4. Riverbed
5. Motion
6. Time
7. Umoya