Per carità, totem, monumenti e supernove non si discutono, nel loro tracciare orbite incommensurabilmente fuori dall’umana portata, ma siamo pronti a scommettere che lo stesso combo capitanato dal trio d’oro Menuck/Moya/Pezzente sottoscriverebbe senza particolari difficoltà l’affermazione che “non di soli Godspeed You! Black Emperor vive la scena post- canadese”…
Tra i progetti di maggior respiro e qualità in arrivo dalla terra del Grande Nord Bianco, il nome dei Milanku prova ciclicamente ad affacciarsi, rivendicando a pienissimo titolo una considerazione che vada oltre le anguste dimensioni di nicchia per pochi e selezionati adepti. Al netto di un esordio come Convalescence, oggettivamente ancora un po’ acerbo e con qualche deficit in termini di personalità, infatti, il quintetto di Montreal ha inanellato una serie di lavori che ne hanno abbondantemente certificato la crescita sul versante della qualità e della profondità dell’ispirazione, a partire da Pris à la gorge, passando per Des Fragments e giungendo infine a quel Monument du non-être et Mouvement du non-vivant che cinque anni fa ha spostato le coordinate artistiche della band verso orizzonti più eterei, onirici ed evocativi, oltre a sfoderare velleità culturali di tutto rispetto chiamando in causa le riflessioni di Guy Debord sulla “società dello spettacolo” e sulla perdita di individualità e creatività all’interno degli umani consessi contemporanei. Che la band non si limiti alla sola dimensione musicale intesa in senso stretto, peraltro, è ampiamente dimostrato fin dalla scelta di un moniker che attesta la devozione per lo scrittore cecoslovacco Milan Kundera, che ha vissuto in Francia fino alla recentissima morte e di cui i Nostri invitano a riscoprire le opere anche oltre l’immancabile e scontata L’insostenibile leggerezza dell’essere. Non stupisce quindi che anche questa nuova fatica, À l’aube, sia molto più di una semplice raccolta di brani, assumendo al contrario la forma di un concept che ruota intorno ai temi drammaticamente portati in evidenza dalla recente pandemia, dalla perdita della sensazione di controllo sulla realtà al bombardamento delle informazioni, dalla solitudine alla violenza sulle donne durante i lockdown. Musicalmente, siamo al cospetto di un album che riesce nell’impresa titanica e mai a buon mercato di riunire sotto le stesse insegne post- sia la delicatezza quasi diafana della componente rock, sia l’intensità delle pulsioni stranianti e distopiche del metal figlio della declinazione neurosisiana del genere. Ad andare in scena, dunque, è un viaggio che alterna “vuoti” e “pieni” in impeccabile combinazione, con un gusto paesaggistico/descrittivo di rara delicatezza e una non meno convincente capacità di scombinare le carte con improvvisi lampi di inquietudine che liberano ombre sinistre. Ecco allora da un lato le classiche astrazioni di scuola GY!BE e MONO e dall’altro il travolgente crescendo emozionale di marca Isis e Cult of Luna, senza dimenticare qualche proficua escursione nei territori a più alto tasso di allucinazione del genere, dove si avvolgono le spire sinuose ma contemporaneamente spigolose e acuminate degli Amenra. Su tutto regna incontrastato un afflato melodico sopraffino, che consente ai Milanku di maneggiare tutti i registri che spaziano dal malinconico allo struggente, nonché di gestire da consumati fuoriclasse il crescendo emozionale che è da sempre la chiave di volta imprescindibile per chiunque abbia intenzione di edificare sul suolo post cattedrali che abbiano fondate speranze di durare nel tempo. Tra le menzioni speciali, infine, è impossibile non citare il contributo dello scream del duo Carl Ruest/Guillaume Chamberland, che, per quanto centellinato in termini di apparizioni e permanenza sul palco, riveste un ruolo fondamentale per aggiungere profondità di campo e drammaticità alla narrazione. Cinque tracce dalla durata mediamente sostenuta per un ascolto complessivo di poco inferiore ai quaranta minuti, À l’aube si apre con “de leurs silences”, vero e proprio manifesto artistico che riassume alla perfezione la poetica della band, tra un avvio in dissolvenza, uno sviluppo che accumula marzialità e tensione, un corpo centrale acidamente dominato dagli strappi vocali e un finale in cui la melodia prende progressivamente il sopravvento disegnando incantevoli arabeschi. I giri motore rimangono bassi anche nella successiva e strumentale “il sera déjà trop tard”, attraversata da un filo di corrente ambient/shoegaze dietro cui non è difficile scorgere sullo sfondo l’ombra degli Alcest più atmosferici, fino allo sciabordio conclusivo che spalanca un inatteso trionfo di luce e rasserenante tranquillità. Al lato opposto dello spettro, già le prime note di “Prêchant la mauvaise nouvelle” trasmettono un senso di irrequietezza e turbamento acuito da grida che trafiggono come coltelli fino alla definitiva e inesorabile condanna, “Sur chacun de nous, l’étau se resserre. L’essence même de la grande tristesse”. Si ritorna in territori astratti con “de la grande tristesse”, ma stavolta non c’è nulla di rassicurante nei fremiti drone e nell’ossatura di un brano che trasuda desolazione e spettralità riportandoci al tempo irreale e sospeso che ha scandito i tormenti pandemici. C’erano, a questo punto, due possibili finali per chiudere il viaggio, o una rinascita/catarsi che adombri possibili, future onnipotenze dopo lo scampato pericolo o, all’opposto, la definitiva presa di coscienza che l’umana condizione nella Storia e nel Tempo ondeggia pericolosamente tra la trascurabilità e l’inutilità, ma i Milanku dimostrano di non avere dubbi, puntando su un destino tragico e nemmeno segnato dai tratti dell’eroismo. Accompagnati nella circostanza dalla recitazione (in svedese) e dai gorgheggi eterei della vocalist dei Thus Owls, Erika Angell, i Nostri mettono in scena l’atto conclusivo della catastrofe annunciata, “nous sommes disparus” riassumendo in un’unica, drammatica traccia la dolorosa sorte individuale e collettiva che ci attende, a fine corsa.
Immagini e note che si intrecciano in caleidoscopica combinazione creando universi multidimensionali in cui smarrirsi, richiami intelligenti e mai invasivi ai numi tutelari del panorama post rock/metal planetariamente declinato, À l’aube è l’ennesima prova da applausi di una band rimasta finora del tutto immeritatamente ai margini della scena del genere. È assolutamente ora che radar e telescopi che scandagliano l’orizzonte alla ricerca di nuove stelle post lo segnino finalmente sulla mappa astrale, il nome dei Milanku.
(Folivora Records, Moment Of Collapse Records, 2023)
1. À l’aube; de leurs silences
2. À l’aube; il sera déjà trop tard
3. À l’aube; prêchant la mauvaise nouvelle
4. À l’aube; de la grande tristesse
5. À l’aube; nous sommes disparus